Pubblicato il 8 Aprile 2014 | di Andrea G.G. Parasiliti
0“U sceccu”, la carne argentina e la cultura italiana
L’altro giorno ero con Salvatore Silvano Nigro, il quale da buon siciliano iniziò a parlarmi cercando di deviarmi: «Sa, il problema con la cultura in questo paese sono i tagli… Ci sta finendo come in quella nota favola agreste, in cui il contadino, volendo risparmiare, decide di diminuire di giorno in giorno il cibo all’asino. Quando poi, finalmente, “u sceccu” si era abituato, con piena soddisfazione del suo padrone, a non mangiare, muore». Divertente, senza dubbio. Poi finalmente inizia a parlare più chiaro: «L’intelligenza, nell’accademia, non è ritenuta un pregio, tutt’altro. Io sono qui, perché non vengo dall’accademia, ma dall’editoria e dal giornalismo».
L’intelligenza, ahimé, credo che non sia più una qualità in nessun contesto in questo paese. Io, infatti, mi guardo bene dall’esserlo. Ma soffro lo stesso, troppo spesso, di emicrania, ultimamente.
Ci deve essere almeno una spiegazione, continuo a ripetermi. Ricordo, però, che quando ero studente e ospite presso il collegio Augustinianum dell’Università Cattolica di Milano, don Daniel Balditarra, durante le sue prediche, diceva che ognuno deve giocare al meglio le proprie carte. Lui, da buon argentino, parlava del suo paese e del fatto che se provava a chiedersi quale fosse la ricchezza dell’Argentina, bene questa la rintracciava, senza dubbio, nella carne. Pensando all’Italia, indicava, senza esitazione, la cultura. Sarà vero.
Mi diceva Nigro che nel nostro paese abbiamo il vizio di sentirci poveri: «Ci sentiamo poveri perché non abbiamo il petrolio, scordandoci che siamo i detentori dei più grandi giacimenti di arte e cultura del mondo». Bisognerà mettersi d’accordo sui termini “arte e cultura”, dico io… L’arte, ultimamente, diceva un mio amico, ha troppo a che fare con la sartoria e con la falegnameria, con sfilate e saloni del mobile. Ma forse, lo stesso Michelangelo si sentiva un artigiano, un bottegaio.
Forse, si parla troppo. Forse, si parla senza capire quello che si dice, il senso della parole e la loro antica maestà e magia. Forse si parla come parlano i cani, abbaiando, come gli animali comunque, cinguettando, ah sì, twittando.
In un baleno sono rimasto solo e passeggio in silenzio e con il silenzio: mi è passato il mal di testa.