Pubblicato il 29 Aprile 2012 | di Andrea G.G. Parasiliti
Poesia, musica e teatro: il mio amico Vannino detto Soulcé
Capita a volte di sentirsi soli, di notte a Milano. E allora la notte si pensa e si ripensa a quello che uno ha vissuto, alla gente che ha incontrato… A volte si prende il telefono e si chiamano degli amici, per sapere che dicono, che fanno. Una di quelle notti allora ho chiamato Giovanni, il mio amico Giovanni Arezzo, un amico col quale ho in comune una lunga letteratura di notti d’estate passate assieme passeggiando e chiacchierando sul lungomare, piccolo e senza luce, di Playa Grande. Lo chiamai. E fu come ritrovarci l’uno di fronte all’altro a parlare di fronte al nostro mare… Mi risponde come incavolato per essere stato svegliato da me di notte… Poi iniziamo a ridere e a raccontarci i nostri progetti… Mi dice che è appena uscito un suo singolo, un singolo che anticipa il primo disco ufficiale di Soulcé & Teddy Nuvolari, ovvero il suo nome d’arte e quello del suo complice: Vincenzo Sortino. Il disco sarebbe Sinfobie. Me lo sono fatto ripetere quattro volte: «Sinfobie! come sinfonie ma con la “b” di fobie». Il pezzo in questione «Giovanni grida solo per la via» una produzione di Soulville records. L’idea nasce come tributo a Mannarino, un cantautore romano molto caro a Vannino ed è un manifesto contro la paura di parlare di poesia, quasi quella solitudine che vive chiunque viva d’arte, chiunque è fuori dalla rotativa della produzione continua.
L’arte si sa, è una condanna. Non è mai una scelta. Montanelli diceva di essere condannato al giornalismo, diceva che non avrebbe saputo fare nient’altro.
Il video che adesso gira sul web nasce da una ripresa a Catania, per la regia di Francesco Maria Attardi, un attore e compagno di studi di Vannino. «Fermatevi, parliamo un po’ di poesia!», questo è il grido di Giovanni, che grida solo per la via. Avevo sentito parlare però anche di uno strano progetto teatrale, di una specie di inchiesta teatrale, e avevo il sospetto di trovare il mio amico implicato. Ne ho avuto conferma.
Si tratta di un’opera del 2007 dal titolo «Il caso Spampinato» di Danilo Schininà e Roberto Rossi. Manco a dirlo, si tratta di Giovanni Spampinato, il giornalista ragusano, collaboratore de” L’Ora” di Palermo, assassinato in circostanze ancora poco chiare nel 1972. Si tratta comunque di un «giornalista curioso», come titola un articolo di Paolo Di Stefano del 2008. Dalla prima rappresentazione al Cinema“Lumière” di Ragusa ad alcune tappe in Belgio. Nessuna apparente messa in scena, niente vestiti particolari, niente trucco… Un po’ com’erano le inchieste de “L’Ora” che, come mi disse un pomeriggio d’agosto Pietrangelo Buttafuoco, avevano «la sobrietà e perfezione di una foto in bianco e nero». Solo due attori che leggono documenti, lettere, carteggi.
Mi confessa di un altro suo progetto: un libro di racconti… «Io che dormivo e la fuga di gas… e altri racconti». Niente di ufficiale, solo una cosa fra me e lui. Detto questo, spero solo che mi risponda ancora, la prossima volta…