Pubblicato il 19 Luglio 2013 | di Andrea G.G. Parasiliti
0Incontro con Giuseppe Laterza, editore dal Sud
«Diceva mio padre: Se un’idea è una buona idea, allora prima o poi si deve realizzare». Giuseppe Laterza è l’esponente di quarta generazione della famiglia degli editori Laterza, in origine librai a Putignano, poi Tipografi a Bari dal 1901, dove il maggior business «dato che in Puglia facciamo l’olio» veniva «dalla stampa delle etichette dell’olio d’oliva», fin quando un giorno l’avo Giovanni Laterza, allora giovane e ambizioso si recò a Napoli a parlare col filosofo Benedetto Croce, il quale si disse disposto a collaborare con la sua impresa «forse per la freschezza del mio bis bis nonno e forse anche perché pensava di poterlo “manovrare”». Come fu e come non fu, Croce collaborò con Laterza per 40 anni e la casa editrice, guidata ancora oggi dai discendenti, sembra aver fatto tesoro dei consigli del grande intellettuale che sconsigliava in ogni modo a Giovanni la pubblicazione di romanzi, spronandolo piuttosto a diventare “editore di roba grave”. Di seguito i tratti salienti del suo intervento del 18 aprile 2013 a Milano, in una piccola aula dell’Università Cattolica, che ho voluto riportate, per una questione di fluidità, sotto forma di intervista.
Come sta la cultura in Italia?
Spesso è autoreferenziale, viene vissuta solo come patrimonio. Il nostro atteggiamento è “Chi può capire bene, chi non capisce, niente”. È un patrimonio, qualcosa che ho, che è mio. Il Colosseo sta là, sta, ma sta muto… Non viene vissuto.
In che senso il Colosseo sta muto?
La cultura in realtà è relazione. Deve relazionarsi ed essere partecipata. La relazione è la base per il dono della comprensione. Io vivo a Roma, ma mai nessuno là ti spiega o ti fa vedere cosa succedeva nell’antica Roma. Nel mondo anglosassone riescono a valorizzare anche ciò che rimane di un accampamento romano, un campo in sostanza. Ebbene, quì siamo dove c’era l’accampamento? E allora ricreano l’atmosfera, le musiche, i suoni, il vino del tempo che fu.
In che rapporto sta l’editoria con la relazione?
A Madrid ho visitato di recente la “Casa del lettore”. E’ colorata e vivace, attrae il lettore, lo invita… Pensiamo invece alle nostre mostre, alle nostre biblioteche, luoghi morti. La cultura da noi sembra destinata a una cerchia ristretta, quasi custodisse il privilegio del sapere. L’editoria è il mestiere relazionale per eccellenza.
Forse anche le idee nascono dalle relazioni…
Molte delle nostre migliori collane le pensammo io e mio padre in macchina, nelle 5 ore di strada fra Bari e Roma. Ma pensammo spesso a un’editoria aperta, collaborativa: Grandi opere che vengono dalla collaborazione fra autori di diverse nazionalità. Pensiamo ad esempio alla Storia della Lettura curata da Guglielmo Cavalli e Roger Chartier o a una collana sulla vita quotidiana nel Medioevo, “La civiltà del medioevo”.
Come nasce una collana?
Nel caso della “Civiltà del medioevo” mi recai da Jacques Le Goff, grande storico francese, che sapevo trovarsi a Roma per un convegno. E gli feci questa proposta: parliamo di quotidianità nella storia medievale giacché di battaglie e trattati se n’è scritto abbastanza. Proponemmo 10 milioni a Le Goff, che oltre a scrivere il suo testo, ci indicò una rosa di autori per la collana e ne divenne il responsabile. 2 milioni a testa agli altri collaboratori. Spendemmo 40 milioni di lire, fra compenso agli autori, traduzione e stampa. Un sacco di soldi per un editore! Ma fu un’impresa eccezionale e piacque tanto. Vi sono titoli come Amore, sesso, famiglia e matrimoni di Georges Duby, oppureUomini e donne dello stesso Le Goff.
Che dimensione relazionale esiste nelle case editrici di oggi?
Le relazioni esistono per lo più nelle piccole case editrici o in quelle con una grande identità. Molte idee nascono con gli autori. Ma in molte case editrici c’è molta confusione. Come si fa a far dialogare l’autore di un “Meridiano” con quello del libro di Tutte le barzellette su Totti?
(Infine la domanda che mi trattenevo da un’ora e mezza): Dottor Laterza, lei viene da Bari, i suoi avi da Putignano… Che prospettive pensa che possa avere l’editoria digitale nel Sud Italia: Creerà un ulteriore scompenso, o sarà un’opportunità per gli editori del meridione? Il libro è una merce e il Sud anche per una questione geografica è sempre stato escluso dai grandi mercati…
Sicuramente è un aspetto da ancora da valutare, ma potenzialmente sì. Tutto dipenderà da una questione: Se gli editori sapranno usare o meno gli strumenti che avranno a disposizione.