Pubblicato il 19 Novembre 2013 | di Gian Piero Saladino
0Leve del management aziendale fra modelli FOR PROFIT e NON PROFIT
Dopo la tavola rotonda dell’1 giugno scorso sul tema “Ridare colore al sociale: sinergie possibili tra profit e non profit”, l’Avis ha voluto proseguire la riflessione realizzando, il 16 novembre scorso, un secondo momento di formazione, che ha orientato i riflettori su “Le leve strategiche del management aziendale: un confronto fra modelli di gestione e sviluppo del personale del for profit e del non profit”.
Il seminario formativo, tenuto da Federico Spazzoli, Presidente della società di ricerca e innovazione per l’economia sociale Community, ha visto la partecipazione di dirigenti avisini di tutta la provincia, e ha consentito di dare prova oggettiva dell’influenza che il modello gestionale del non profit, dell’Avis in particolare, può esercitare oggi nei confronti delle realtà produttive mosse dalla logica del profitto.
Dopo il saluto del Presidente dell’Avis di Modica, Carmelo Avola, e del Presidente dell’Avis regionale, Salvatore Mandarà, è stata presentata la ricerca di Community Centro Studi, un lavoro di quasi due anni, che ha coinvolto 38 aziende for profit e non profit di tutta Italia, da Nokia-Siemens a Vodafone, da Alberto Guardiani a De Cecco, da Libera alla Don Puglisi ad Etica Sgr, attraverso interviste a dirigenti, coordinatori e figure aziendali responsabili nella gestione del personale.
Spazzoli ha fatto emergere chiaramente dall’indagine il cambio di paradigma che sempre più contraddistingue le nuove organizzazioni for profit, che tendono a valorizzare elementi tipici del non profit come la motivazione, la creatività e la qualità della leadership, e ad applicare alla funzione propria del for profit, fondata prevalentemente sull’innovazione di prodotto, i valori e le metodologie gestionali delle imprese non profit, quali l’innovazione di processo e la qualità della relazione sociale e interpersonale.
Nel corso del dibattito, nel quale sono emerse numerose domande e sollecitazioni, in qualità di responsabile per la comunicazione e formazione dell’Avis provinciale di Ragusa, ho messo in evidenza come anche la formazione nelle imprese for profit tende a privilegiare elementi “soft”, legati al modello manageriale spesso praticato inconsapevolmente dal migliore volontariato sociale, piuttosto che elementi “hard” di natura gerarchico-funzionale, che hanno caratterizzato le logiche di profitto a breve perseguite dalle imprese che hanno scelto, durante il trentennio del “pensiero unico liberista”, di investire sulle tecnologie senza investire anche, contemporaneamente, sugli uomini e sulla loro formazione e relazione.
Ho altresì sottolineato la possibilità e opportunità di sviluppare, al di là della mera funzione di raccolta del sangue, indispensabile supporto per la sanità pubblica anche in Sicilia, una nuova e più marcata consapevolezza del potenziale culturale e organizzativo che segna la vita delle associazioni di volontariato qualificate come l’Avis, mettendo a disposizione di imprese spesso in crisi una rinnovata sensibilità per le risorse umane e le relazioni sociali, un patrimonio reputazionale ormai raro nei contesti della corruzione pubblica e privata, nuove proposte di modellizzazione dei sistemi organizzativi del lavoro, meno competitivi ma più performanti e flessibili, come quelli che vigono nel migliore volontariato, unitamente a una profonda conoscenza del territorio e a un presidio di legalità che, specie in Sicilia, costituiscono deterrente prezioso alla devianza sociale e criminale.
A fronte di ciò, le imprese sociali e le associazioni di volontariato come le Avis, possono legittimamente chiedere alle realtà profit, e serenamente anche alle pubbliche amministrazioni, fiducia e identificazione positiva, sostegno “politico” disinteressato e sostegno “economico”, sia materiale (sponsorizzazioni tramite Fund Raicing) sia immateriale (volontariato d’impresa, competenze professionali a titolo gratuito, sinergie di rete per il rafforzamento del capitale sociale sui territori, etc.), e che in nome di un’antropologia personalista e di un management umanizzante, superino la pretesa che il volontariato svolga solo una funzione di supplenza all’indifferenza del mercato e all’impotenza del pubblico, e ne metta in gioco esperienze e competenze che, nell’età della crisi, tornano “di moda” anche nelle grandi imprese multinazionali.
Come ha ricordato Federico Spazzoli, oggi che “sono finiti i soldi”, i modelli organizzativi e le prassi del non profit – come una volta nelle comunità olivettiane – possono essere leva strategica e risorsa in più per salvare e far crescere, in modo nuovo, l’economia profit del mercato globale.