Cultura Elogio del riposo

Pubblicato il 6 Gennaio 2014 | di Andrea G.G. Parasiliti

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Elogio del riposo

Andai in Sinagoga a settembre. Andai per ascoltare il rabbino capo della Comunità Ebraica di Milano, Alfonso Arbib di Tripoli. E andai perché parlava dello Shabbat, del tempo del riposo, della cessazione dell’attività. Diceva il rabbino che ci sono due Torah. C’è l’insegnamento della Torah scritta che compone i primi cinque libri della Bibbia ebraica e c’è l’insegnamento della Torah orale che non ha definizione. In questa c’è una parola, Shavat, radice di Shabbat, che significa smettere di fare qualcosa. E questo perché a un certo punto Dio smette di creare, benedice il settimo giorno e lo santifica.

Dice il rabbino che all’interno dei 10 comandamenti, lo Shabbat è il quarto. Le versioni sono due: 1) ricorda il sabato per santificarlo (zachor); 2) osserva il sabato per santificarlo (shamor).

Dice il rabbino che ricordare e osservare sono due aspetti fondamentali del sabato. Si ricorda con la cerimonia del Kiddush, al tramonto di venerdì, prendendo un bicchiere di vino e santificando il giorno appena iniziato. Si osserva astenendosi dal compiere 39 opere vietate e che consistono in tutto ciò che ha a che fare con l’attività di Melachan. Melachan si riferisce al tipo di lavoro creativo o che esercita controllo o dominio sul proprio ambiente. Melachan è l’opera di creazione dell’universo, il lavoro di Dio, fatto di Parola.

Dice Arbib di Tripoli che la creazione senza lo Shabbat è come un baldacchino nuziale senza sposa, come un anello senza sigillo.

Vuoto è il letto, anonimo l’anello.

Secondo la tradizione ebraica, infatti, tre sono i momenti della creazione del mondo:

  1. Dio crea dal nulla;
  2. Dio plasma la materia informe per sei giorni, fin quando non gli dà forma;
  3. Dio si nasconde e da questo momento il mondo ha la forza per andarsene per conto proprio.

Vi è un rischio, certamente, ed è quello della scomparsa di Dio.

Ma la parola “mondo”, dice il rabbino, si dice alam, e in ebraico vuol dire “nascosto”. E allora lo Shabbat è un tentativo di istaurare un rapporto con il Dio nascosto. In che modo? Smettendo di creare, di fare.

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Autore

(Ragusa, 1988). Post-doctoral Fellow della University of Toronto si è laureato in Filologia Moderna all’Università Cattolica di Milano e ha conseguito il dottorato di ricerca all’Università degli Studi di Catania. Collaboratore del Centro di Ricerca Europeo Libro Editoria Biblioteca della Cattolica di Milano (CRELEB) e, nel 2018, del PRISMES (Langues, Textes, Arts et Cultures du Monde anglophone) dell’Université Sorbonne Nouvelle – Paris 3, si occupa di Libri d’artista e Letteratura Futurista, Disability Studies e Food Studies. Fra le sue pubblicazioni: Dalla parte del lettore: Diceria dell’untore fra esegesi e ebook, Baglieri (Vittoria, 2012); La totalità della parola. Origini e prospettive culturali dell’editoria digitale, Baglieri (Vittoria, 2014); Io siamo già in troppi, libro d’artista di poesie plastiche plastificate galleggianti per il Global Warming, KreativaMente (Ragusa, 2020); Ultima notte in Derbylius, Babbomorto editore (Imola, 2020); All’ombra del vulcano. Il Futurismo in Sicilia e l’Etna di Marinetti, Olschki (Firenze, 2020). Curatore del volume Le Carte e le Pagine. Fonti per lo studio dell’editoria novecentesca, Unicopli (Milano 2017), ha tradotto per il CRELEB le Nuove osservazioni sull’attività scrittoria nel Vicino Oriente antico di Scott B. Noegel (Milano, 2014). Ha pubblicato un racconto dal titolo Odisseo, all’interno della silloge su letteratura e disabilità La mia storia ti appartiene, Edizioni progetto cultura (Roma 2014). Come giornalista pubblicista, ha scritto per il «Corriere canadese» (Toronto), «El boletin. Club giuliano dalmato» (Toronto), «Civiltà delle macchine» (Roma), l’«Intellettuale Dissidente» (Roma), «Torquemada» (Milano), «Emergenze» (Perugia), «Operaincerta» (Modica), e «Insieme» (Ragusa) dal gennaio del 2010.



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