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Pubblicato il 27 Febbraio 2014 | di Lettera in Redazione

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Crisi economica, pochi si interrogano sulle reali cause

Si sente spesso parlare di  crisi di denaro in circolazione, aziende che chiudono, disoccupazione, che vengono presentate come cause ma sono solo effetti di una crisi scaturita da fenomeni lontani come l’eccessiva velocità di circolazione della moneta, spesso meramente speculativa, e una spesa pubblica incontrollata e malata.

Bisogna infatti ricordare i punti deboli, in economia, del sistema occidentale di libera concorrenza e quelli, in politica, di una democrazia ben lontana dalla sua maturità e chiaramente penalizzante per i soggetti più deboli.

Circostanze, queste, che esercitano forte attrazione sulla nostra società e, in modo particolare, su talune parti sociali da sempre ritenute in conflitto fra loro, ma che ora, nell’epoca del consumismo sfrenato, si ritrovano tacitamente a convergere.

Si tratta dei consumatori e degli imprenditori, accomunati dalla corsa agli acquisti da parte dei primi e alle vendite crescenti, stimolate dalla pubblicità, da parte dei secondi.

Ciò determina un deterioramento nel sistema economico liberista, con particolare incidenza sul debito pubblico che, col passar del tempo, assume ritmi galoppanti.

Questo è ciò che è successo, soprattutto dopo l’avvento dell’Euro, per cui la Banca Centrale Europea è costretta a esercitare un rigoroso controllo, imponendosi in certi casi sulla sovranità degli Stati europei non in regola. È avvenuto anche in Italia alla fine del 2011 quando, nell’impossibilità di pagare stipendi e pensioni ai pubblici dipendenti, il Governo del Paese ha chiesto l’intervento della Bce.

La Banca, dopo aver finanziato il fabbisogno richiesto, ha imposto all’Italia di affidare la sua gestione politico-amministrativa a un Governo di tecnici, con in testa il professore Mario Monti.

Il resto è storia recente, con i risultati che noi tutti conosciamo: dalle imprese che chiudono, alle maestranze che perdono il lavoro, alle famiglie che non arrivano a fine mese.

Il debito pubblico sfiora, mediamente, 40 mila euro per ciascuna famiglia italiana, e genera interessi passivi annui superiori al prodotto interno lordo dell’intera nazione, condannando l’Italia al secondo posto della classifica mondiale dei Paesi più indebitati.

Si moltiplicano però coloro che ritengono giunto il tempo di dover ripristinare l’equilibrio fra ciò che si consuma e ciò che si produce, perché questo può assicurare nel tempo risultati accettabili per tutti.

Resta ferma inoltre la necessità di rendere compatibili le scelte politiche e amministrative con le leggi sovrane della Natura.

Giuseppe Di Trapani

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