Pubblicato il 5 Marzo 2014 | di Lettera in Redazione
0A proposito di unioni civili
Il dibattito sul regolamento per l’istituzione del registro delle unioni civili svoltosi dentro il consiglio comunale e sui media della nostra città, è stato scontato , schematico ed ideologico; incapace di attivare un confronto aperto e coraggioso in aula e in città; inadeguato a produrre un atto che mostrasse almeno lo sforzo della ricerca del bene comune, che fosse utile alla maturazione di valori condivisi e aiutasse la comunità locale ragusana nel camminino faticoso ma necessario di elaborazione di un discorso pubblico condiviso. Si è voluto piantare una bandierina ideologica e politica e dire che l’amministrazione Piccitto ha fatto qualcosa.
Questo spiega la fretta con cui si è voluto andare al dibattito in aula pur in presenza di una richiesta sostenuta da oltre 500 cittadini, che chiedeva la sospensione della discussione in consiglio per favorire un più ampio dibattito in città; richiesta che non solo non ha avuto alcuna benevola accoglienza,ma da qualche consigliere di maggioranza è stata bollata come strumentale perché finalizzata solo a bloccare il processo deliberativo e squalificata come frutto della sollecitazione di qualche consigliere di opposizione.
Ma se la polemica e il travisamento della verità è comprensibile in alcuni soggetti presi dalla foga politica, non lo è in giornalisti, che de ontologicamente dovrebbero ricercare la verità dei fatti e che invece hanno definito la suddetta istanza, un documento dell’opposizione, offendendo la dignità di tutti quelle persone che hanno firmato nella libertà e nell’autonomia di cittadini responsabili espressione di una società civile che si autorganizza e preoccupati del bene comune.
Il dibattito in aula, fra l’altro, nascondeva tra le pieghe un pregiudizio culturale quando tra le varie argomentazioni addotte da alcuni consiglieri a sostegno della delibera, si è sentito il bisogno di sottolineare con enfasi da guardiani della laicità che il Comune è una istituzione laica, lasciando capire che atteggiamenti critici rispetto al registro delle unioni civili potevano essere letti come imposizione di istanze religiose al resto dei cittadini; e quando si è assisto alla torrentizia citazione di vescovi e papi per ricordare una certa apertura rispetto alla questione delle unioni civili da parte della Chiesa; una sorta di avvertimento ai “clericali” presenti nel consiglio o in città, come dire: voi che decidete secondo le indicazioni del Papa, del vescovo, del parroco ed del sagrestano cercate di essere consequenziali questa volta.
Ho dovuto spiegare che da (aspirante) cristiano impegnato in politica ho imparato che si possono sostenere le proprie tesi, originate dalla fede o da qualsiasi altra visione del mondo e della vita, solo attraverso gli argomenti della ragione pubblica e del linguaggio antropologico e nel quadro del patriottismo costituzionale come direbbe Habermas, dentro la cultura della laicità della politica che da Sturzo al Concilio esalta l’ autonomia delle cose temporali nelle quali il laico cattolico gioca la sua libertà e la sua responsabilità.
Ma ho dovuto anche ribadire che la realtà della famiglia non appartiene all’ordine trascendente della fede, ma a quello immanente dell’esperienza umana in quanto tale, che nella fede trova il proprio coronamento, ma non la propria condizione di possibilità. L’istituzione famiglia è propria di ogni tempo , di ogni cultura , di ogni nazione.
La mia contrarietà all’atto è legata alla logica che lo coinvolge: l’acritica assimilazione delle unioni di fatto alla famiglia fondata sul matrimonio come definita degli articoli 29,30 e 31 della nostra costituzione. L’atto come è stato strutturato , crea una oggettiva confusione tra due realtà diverse e da tutelare in ogni caso in modo diverso.
Infatti nella nostra costituzione democratica , laica ed antifascista, la famiglia come società naturale assume uno status differenziato rispetto a ogni altra formazione sociale. Il favor che la costituzione riconosce alla famiglia è dovuto al fatto che essa svolge una funzione pubblica essenziale che è quella di generare , accudire, sostenere, educare e socializzare le generazioni future; è la famiglia che genera il futuro.
Era possibile e doveroso distinguere, proprio in un atto regolamentare, tra famiglia e unioni civili, rispettando la dignità di entrambe le realtà, come ha chiaramente indicato una giurisprudenza consolidata della corte costituzionale e come è stato ribadito nella sentenza n. 8 del 1994 redatta da un grande giurista laico come Gustavo Zagrebelski : “ tenendo distinta l’una dall’altra forma di vita comune, si rende possibile riconoscere ad entrambe la loro propria specifica dignità e non si innesca alcuna impropria rincorsa verso la disciplina del matrimonio da parte di coloro che abbiano scelto di convivere.”
Questo regolamento ha scelto la confusione laddove all’art. 2 ha stabilito “ gli atti dell’amministrazione devono …assicurare alle coppie unite civilmente le medesime condizioni riconosciute dall’ordinamento alle coppie sposate”, e non rispettando le differenze e non accogliendo le diversità produrrà effetti non corrispondenti ai principi di uguaglianza e sussidiarietà voluti dalla nostra costituzione.