Pubblicato il 22 Ottobre 2014 | di Gian Piero Saladino
0Introduzione al Piano Pastorale 2014/2015 “Educhiamoci alla Speranza”
La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio.
Il primo di fronte a come vanno le cose, il secondo per cambiarle
Educhiamoci alla Speranza: è questo il tema ispiratore sul quale S.E. il Vescovo Paolo Urso, in comunione con il consiglio pastorale diocesano, i direttori degli uffici diocesani e i consigli parrocchiali, invita quest’anno la Comunità Diocesana a riflettere e a camminare insieme, dopo gli anni dedicati alla Libertà, alla Verità e alla Corresponsabilità.
Educhiamoci alla Speranza…come risposta alla crisi, al travaglio, all’accidia egoista, come bisogno e motivo di vita, perché quando c’è la speranza ci sono anche la felicità, la gioia e la pace. Dobbiamo interrogarci se noi cristiani parliamo di speranza e se il nostro modo di parlarne è corretto, o se non finiamo piuttosto per farla apparire una trappola alienante, un’illusione, un inganno, una fuga dalla realtà, un privilegio per pochi.
Educhiamoci alla Speranza…come dono di Dio prima che come risultato di un impegno umano, dono di un Dio che “ci salva per sempre”, che si alimenta di memoria e guarda al futuro, avendo per oggetto non i desideri del mondo ma lo stare in compagnia di Dio stesso. La speranza cristiana non riduce però l’impegno nel presente, non ci lascia indifferenti alle sofferenze ed evasori di impegno storico, ma ci induce a trasformare la realtà per renderla conforme al progetto di Dio.
La speranza è attesa certa, paziente e costante, non di qualcosa ma di Qualcuno, e chiede di seminare e innaffiare prima di raccogliere, come il contadino che coltiva la terra con amore non solo per sé ma anche per gli altri. La speranza è “desiderio grande”, sete di infinito, che allarga il cuore e lo purifica dai piccoli desideri terreni, con la sovrabbondanza dello Spirito di Dio in noi.
La Speranza non ha come fondamento le nostre capacità, la nostra intelligenza, la nostra forza, ma l’amore (Gesù risorto dai morti) che Dio ha per l’uomo e la fedeltà a questo amore per sempre. “Sperare è un dovere, non un lusso. Sperare non è sognare, al contrario: è il mezzo per trasformare un sogno in realtà. Felici coloro che osano sognare e che sono disposti a pagare il prezzo più alto perché il sogno prenda corpo nella vita degli uomini”.
Educhiamoci alla Speranza…evitando le tentazioni della rassegnazione e della presunzione. La prima, equivalente della viltà, dell’accidia, della paura, della rinuncia, favorisce l’oppressione e lo sfruttamento, e l’insorgere di passioni tristi come il senso di impotenza e la tendenza a chiudersi in se stessi. La seconda, che ha la sua matrice nell’orgoglio, conduce alle scorciatoie della mondanità e confonde il regno di Dio con il regno degli uomini.
La Speranza si apprende e si esercita nella preghiera come scuola di speranza; nell’agire serio e corretto, come “speranza in atto” di poter rendere il volto della città più bello, più umano e più fraterno; nella sofferenza come luogo di apprendimento della speranza, che non va mai fuggita ma vissuta con amore in compagnia di Cristo e dei fratelli; infine, nel Giudizio finale di Dio, che sa fare giustizia in un modo che noi non riusciamo a concepire, ma che nella fede possiamo intuire.
Educhiamoci… per annunciare, celebrare e servire il Vangelo della speranza. Annunciare e testimoniare non è una “consuetudine sociale”, ma una fede personale e adulta, illuminata e convinta, capace di valorizzare la catechesi, l’educazione dei giovani, gli strumenti di comunicazione sociale, il dialogo ecumenico e interreligioso. Celebrare con i sacramenti, la liturgia e l’intera esistenza non è fuggire nello spiritualismo, nel sincretismo religioso, negli eventi miracolistici, ma riscoprire il senso del mistero, la contemplazione di Gesù, centro del nostro sforzo di formazione. Servire è seguire la strada dell’amore, donando e ricevendo carità, restituendo concretamente la speranza ai poveri, ai disoccupati, ai migranti, ai difensori del creato, alle famiglie disfatte, agli oppressi e agli esclusi dalla comunità, ai giovani fidanzati e ai vecchi abbandonati e soli.
Questi e altri pensieri fanno di una riflessione radicata nella Parola dell’Antico e del Nuovo Testamento, ispirata all’insegnamento del Concilio Vaticano II e degli ultimi Papi, e arricchita da pagine illuminanti e/o provocatorie di uomini come S. Agostino, Mario Monicelli, Riccardo Bacchelli, Carlo Levi, Feodor Dostoevskij, Georges Bernanos, Primo Mazzolari, Michele Pellegrino, Vaclav Havel, Dietrich Bonhoeffer, Lèon Joseph Suenens, Bruno Maggioni, Giuseppe Barbaglio, Dante Alighieri, un accorato appello, quasi un testamento per accompagnare, nello spirito e nella prassi, il futuro operare della Chiesa ragusana.
Il documento è corredato del Calendario delle attività 2014-2015, e formula 6 proposte diocesane: l’adorazione eucaristica in ogni comunità come professione di speranza; la meditazione della Lettera di San Paolo ai Romani nei centri di ascolto della parola; l’avvio della Scuola di preghiera; costruire “segni visibili e concreti” di speranza in ogni zona pastorale; gli incontri diocesani per i membri dei consigli pastorali e per gli affari economici sull’utilizzo dei beni per “dare speranza”; la programmazione pastorale parrocchiale.
Sperare non è attendere passivamente che il futuro ci venga dato, ma agire umilmente affinché la Speranza, dono di Dio, si incarni nella Storia attraverso il sacrificio dell’Uomo. Il Tempo del rinvio rassegnato e della presunzione di farcela da soli è scaduto!