Vita Cristiana

Pubblicato il 4 Febbraio 2015 | di Agenzia Sir

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Una tradizione che affonda le radici nella notte dei tempi

023A Comiso la solennità del 3 febbraio nella chiesa di San Biagio ha mantenuto la suggestione di sempre: ancora oggi vengono distribuite nzaiareddi – nastrini di colore rosso da legare al braccio – e viene fatta ai fedeli la benedizione della gola. La cerimonia della benedizione è stata fatta nella omonima chiesa di via San Biagio al termine di ogni celebrazione della Messa: nel rispetto del rituale i Sacerdoti vestiti di cotta e stola hanno apposto sotto il mento dei fedeli accanto alla gola due candele accese, dicendo: “Dominus noster Iesus Christus, per intercessionem S. Blasii Episcopi et Martyris, liberet te ab omni malo, et a malo gutturis”: interminabile la fila di fedeli lungo la navata della Chiesa che hanno chiesto la benedizione per sé e soprattutto pei i propri bambini, sull’altare p. Franco Forti, p. Innocenzo Mascali e p. Giovanni Meli molto conosciuto dai Gruppi di Preghiera di San Pio da Pietrelcina.
La solennità di S. Biagio, patrono della città, anticamente e secondo il calendario, aveva luogo il 3 febbraio. Però tenuto conto della stagione poco opportuna, per Privilegio vescovile del 29 aprile 1604 s’ottenne di trasportarla alla prima domenica di luglio, successivamente un secondo Privilegio, datato 3 aprile 1751, l’assegnava alla domenica seguente, cioè la seconda domenica di luglio come ancor oggi avviene.
Paese di feste è Comiso e quella del Patrono Sammilasi, appunto la seconda domenica di luglio, chiude le più importanti. Sulla tradizione della festa parecchio è stato scritto da Nino Cirnigliaro dotto storico e cultore di tradizioni popolari. Dunque la festa esterna, quella di luglio , si celebrava in piena estate, quando nelle campagne sono terminati i lavori grossi della mietitura e trebbiatura e si poteva onorare, senza pensieri in testa e qualche soldo in tasca, il patrono del paese.
Caliari forestieri, la vigilia e il giorno della festa, battevano i quartieri con la cesta ovale di strisce di canne e virgulti d’olivo al braccio, vanniannu calacausi e simenta, una fiera-mercato affiancava la festività, che durava una settimana, da domenica a domenica, detta l’ottava.
Si vendeva di tutto, scale di ogni altezza, utilizzare specialmente per la raccolta delle olive, utensili agricoli, corde, scarpe, panieri e corbelli.
I vasai di Caltagirone portavano montagne di fancotta, quartari, ‘nziri, ‘nzalateri, cannati, forme per mostarda e cotognata con impressi simboli eucaristici, grappoli d’uva, frutta e delicati nomi di donne. I bummula più rinomati, di terracotta verdina, la migliore per mantenere fresca l’acqua, venivano invece da Lentini. Al bómbolo era obbligo che si accostassero per prime, ppi ‘ncingallu, per inaugurarlo, le labbra di un maschio; se malauguratamente vi si fosse attaccata la bocca assetata di una donna, Dio ne scampi, si sarebbe potuto buttare, perché avrebbe puzzato per sempre di uova marce. Così ai lati della strada della villa, sui marciapiedi erano esposti tanti articoli, che non si trovavano nei pochi negozi del paese. Solo i catanesi scaltri e mariuoli vendevano fumo, portando agli ingenui braccianti comisani tanti giochi, in cui a vincere erano sempre i furbi etnei.

Il pomeriggio della processione…centinaia di devoti portavano a spalla la statua del Patrono serenamente assiso sulla sua sedia vescovile, ai cui piedi bambini difettosi di nascita pizzuliaunu coccia ri racina sammilasara, chicchi di uva, che maturava proprio in quei giorni e guardando, come raccomandavano i genitori che l’avevano posti sulla vara, il bel viso ruscianu del Santo, speravano che raddrizzasse le loro gambette rachitiche o sciogliesse la lingua muta.
Mentre la lunga processione di fedeli coi ceri dentro la lanterna coi vetri istoriati dai simboli vescovili e del martirio di S. Biagio s’avvia per i quartieri del paese…Altra tradizione infine la raccolta del frumento, che si effettuava in varie giornate che precedevano il giorno della festa (con l’utilizzo di muli bardati con bisacce che percorrevano i vari quartieri del paese), e all’interminabile processione da sottolineare il sacrificio di molti i quali fanno “U VIAGGIU” a piedi scalzi, e poi il portare il simulacro a spalla per l’intero percorso, il portare le torce votive decorate (i ‘ntocci) con i ceri accesi, per non parlare dell’enorme partecipazione di fedeli avanti e dietro il simulacro;
Tradizioni di un tempo che suscitano ancor oggi ,pur nel ricordo ,suggestioni uniche !-

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