Pubblicato il 20 Febbraio 2015 | di Redazione
0Scafisti? Facciamogli la guerra
22 agosto 2007 – ammontano sinora a 9.425 gli immigrati morti.
Continuano le morti atroci, nel Mare Mediterraneo, degli immigrati che per ventura o per costrizione arrivano sulle nostre sponde (Lampedusa, Ragusa…) come clandestini disperati e auto-condannati a morte. Secondo i dati riferiti da “Fortress Europe” – e pubblicati su tutti i giornali – ammontano sinora a 9.425 gli immigrati morti “mentre cercavano di raggiungere l’Europa” via mare, attraverso le carrette del mare o i gommoni degli scafisti (cfr. “La strage di Ferragosto” in Corriere della Sera 15 Agosto 2007, p. 5).. Ha sostanzialmente ragione Rafael Correa, presidente della Repubblica dell’Equador quando ci rivolge una terribile accusa: “Voi in Europa vi siete dimenticati di quando eravate migranti e ora criminalizzate i migranti del Sud del Mondo” (cfr. in Liberazione, 10 agosto 2007, p. 8).
Nelle nostre leggi nel quadro di una logica di difesa da una presunta invasione di immigrati clandestini prevale la guerra preventiva più che la via di Giorgio La Pira del “sentiero di Isaia”. Non conta la vita di questi poveri uomini senza diritto e senza alternative. Conta la paura e la forza del Paese o della Fortezza Europea, conta la sicurezza e la capacità di chi sa fronteggiare ed impedire con ogni mezzo gli sbarchi dei clandestini. Non ci è estranea per cultura e spiritualità popolare la virtù della compassione. La Marina Italiana e le Fiamme Gialle delle varie capitanerie di porto hanno soccorso 7 mila migranti clandestini, “di cui 2.500 soltanto nel mese di luglio” di quest’anno, mentre Malta ha preferito buttare in loro soccorso dei salvagenti pur di non ospitarli nel proprio territorio.
Noi ci sentiamo “moralmente costretti” a soccorrerli, ma subito dopo li mettiamo nei nostri CPT o CPTA per poi consegnare loro il burocratico e precettivo “foglio di via”. Non manca quindi la pietas e l’indignazione umanitaria, “a livello italiano”, ma non si è riusciti sinora a produrre “a livello europeo” qualcosa di buono e di utile e di concertato a riguardo se non quella di intensificare il pattugliamento dei mezzi navali sia della guardia costiera italiana che quello congiunto di alcuni Paesi Europei.
Ad eccezione di qualche tentativo lodevole ma naufragato anch’esso, di un accordo diplomatico con la Libia di Gheddafi per sradicare il fenomeno del traffico degli scafisti nelle coste di partenza (cfr. Il Messaggero, 15 agosto 2007, p. 9). In diverse occasioni mi sono occupato del problema degli immigrati clandestini e ho indicato delle possibili alternative alla infausta legge “Bossi-Fini” e alla cultura disumana che l’ha ispirata (cfr. articoli su “Affari Italiani” o sui libri “Fratello immigrato” o “Dentro la nuova società multiculturale…”).
E’ arrivato il momento di indicare percorsi nuovi e concreti, utopici ma non utopisti per aprire una via di soluzione europea alla questione della tutela della vita degli immigrati che espatriano ed entrano nel nostro spazio politico e giuridico in modo irregolare come dovere primario di civiltà “europea”.
Contro le morti degli immigrati clandestini nel Mar Mediterraneo, nel Canale di Sicilia, bisogna costruire “non un cordone sanitario” di repulsione e di difesa europea delle frontiere del Sud Europa ma un vero e proprio corridoio umanitario europeo che si faccia carico di traghettare in modo sicuro e “a prezzo politico” quegli immigrati che vengono dall’Africa, da Tunisi o dalla Libia per cercare un lavoro e una nuova patria e non un paese da razziare. Si tratta di fare concorrenza e di sconfiggere gli scafisti sul terreno, non tanto di una ingenua liberalizzazione delle frontiere, quanto di un governo delle entrate sicure e funzionali con luoghi di orientamento, formazione e avviamento al lavoro.
Un corridoio umanitario europeo di entrata per la ricerca di un lavoro, finanziato e agevolato da un Piano Europeo per l’immigrazione sicura e funzionale che si legherebbe organicamente alla rete attuale ed interna degli ex CPT e dei Network etnici della Società Civile italiana (cfr. il mio recente “Mustafà va in prigione”, Ed. Genius Loci, Ragusa 2007, pp. 182). Si aprirebbe così una via preferenziale di civiltà, di pace preventiva e di lavoro per quanti scelgono con un nostro piccolo aiuto economico “europeo” di transitare ed approdare nella legalità in Italia ed in Europa.
Anche con la politica “attiva” delle migrazioni diventerebbe “selettiva” non sul piano della discriminazione preventiva ma delle offerte di occasioni e di vie legali per l’insediamento individuale, familiare e di gruppo etnico, con la valorizzazione dei talenti e dei meriti associati alla condivisione delle nostre virtù di legalità e laboriosità, di libertà come responsabilità e democrazia come valore di inclusione cittadina e fraterna. L’Europa ha e avrà bisogno di nuovi immigrati per un lungo periodo e questo vale oggi ancora di più per la nostra Italia. Il nostro sviluppo e la nostra crescita dipendono anche da una buona e sana, attiva e saggia politica della tutela della immigrazione. Il disegno di legge “Amato-Ferrero” sulla nuova immigrazione sarà una risposta superiore per qualità culturale e tutela umanitaria alla “Bossi-Fini” se si legherà ad una svolta “europea” nel settore delle politiche sociali legate al fenomeno migratorio.
Un corridoio umanitario “europeo” è quindi una sfida di civiltà. Anche quando si dovesse realizzare all’inizio in modo “simbolico”, in Sicilia con una nave di collegamento marittimo, sicuro e agevolato, a numero chiuso, (ad esempio unità 300) dalla Libia a Trapani, da Tunisi a Marsala… ogni estate sarebbe l’inizio di una nuova navigazione “pacifica” e di una nuova solidarietà “vitale”. I benefici umani e diplomatici sarebbero di gran lunga superiore ai nostri sacrifici e ai problemi che si porrebbero. Sarebbero semi fecondi di speranza e di dialogo tra i popoli del Mediterraneo per l’aiuto concreto che forniremmo al loro sviluppo economico e sociale e non solo “gesti di compassione umanitaria”.
E’ forse il sogno di una notte di mezza estate?