Politica

Pubblicato il 11 Maggio 2015 | di Redazione

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Il nodo delle preferenze nell’ ” Italicum ”

Nell’ultimo numero di “Insieme” (n. 585) è stato illustrato da Vito Piruzza, in modo esauriente, il disegno di legge elettorale).

Nel disegno di legge, com’è noto, viene garantita, in caso di successo elettorale delle singole liste, l’elezione dei candidati numero “uno” di esse, mentre gli altri saranno scelti dagli elettori. Sia per l’indicazione dei primi (i capi-lista) da parte di ogni singolo partito nelle proprie liste dei vari collegi, sia per l’espressione, da parte degli elettori, delle preferenze per gli altri candidati nelle schede di votazione, sono stabilite alcune regole (ricordate dal Piruzza) per il rispetto del principio di pari opportunità fra uomini e donne.

Deve riconoscersi che ciò costituisce un netto miglioramento rispetto all’attuale sistema (il “porcellum”, termine elegante e significativo attribuitogli da Giovanni Sartori per tradurre quello piuttosto volgare affibbiatogli da Calderoli); il quale non prevede alcuna preferenza e garantisce l’elezione ai candidati collocati dai partiti nei primi posti delle loro liste (fatta salva la scelta delle primarie da parte dei singoli partiti, pur in mancanza di obbligo di legge).

Ora ogni partito presenterà, in ognuno dei cento collegi in cui saranno suddivise le circoscrizioni elettorali del territorio nazionale, una propria lista con il capo-lista bloccato. I nominati (cioè gli eletti predestinati) saranno perciò un esercito, non un drappello, se si ha riguardo ai partiti maggiori nei sondaggi (nell’ordine: Pd, M5s, Lega e Forza Italia). Ad essi, peraltro, devono essere aggiunti i numeri “uno” di quelle altre liste che riusciranno a far eleggere almeno un candidato (appunto il primo della lista) in molti o in alcuni dei cento collegi. Potrebbero persino essere più di trecento, se si considera che, oltre ai 100 seggi bloccati della lista che avrà il premio di maggioranza per arrivare a 340 (di cui 240 fra quelli scelti dagli elettori), rimarrebbero, per le altre liste, 290 seggi (trascuro il caso particolare di qualche regione), da suddividere fra quelli bloccati (la maggior parte) e quelli assegnati con le preferenze.

È probabile che in qualche lista confluiscano due o più partiti, al fine di raggiungere la soglia di sbarramento del 3 per cento (i partitini) o di superare il 40 per cento dei voti per conquistare il premio di maggioranza (i partiti più grossi) o almeno di giungere ad una percentuale che consenta la partecipazione al secondo turno per ottenere il premio. Tutto ciò può creare problemi – per la scelta del candidato da indicare al primo posto – ai partiti fusi in unica lista, che, solo di fatto, non tecnicamente, possono considerarsi “coalizione”; ma non cambia nulla per quanto riguarda il funzionamento del sistema, perché in qualsiasi legge elettorale va data rilevanza alle liste presentate.

Venendo al punto, non si può trascurare il fatto che con il referendum del 1993 i cittadini scelsero di sostituire al sistema proporzionale quello maggioritario. Si deve alla successiva legge elettorale – chiamata “mattarellum” perché il suo principale artefice fu l’attuale presidente della Repubblica – l’introduzione di un sistema misto: maggioritario (secondo la volontà del Popolo espressa con il referendum) per il 75 per centto, con l’aggiunta di  un correttivo proporzionale del 25 per cento, cui partecipavano le liste che superavano la soglia di sbarramento del 4 per cento. E si sa bene che con il sistema maggioritario i candidati unici vengono scelti dai partiti, fatto salvo (si ripete) il rimedio democratico delle primarie.

Non è dunque scandaloso che l’ Italicum preveda – sia pure in un sistema diverso da quello uninominale maggioritario – la designazione preventiva, da parte dei partiti (o, con le primarie, dei suoi elettori), di un cospicuo numero di candidati destinati all’elezione. Sarà sempre un numero inferiore a quello di 475 previsto dal “mattarellum”.

Piuttosto rende perplessi l’introduzione del secondo turno per la conquista del premio di maggioranza, qualora nessuna delle liste superi il 40 per cento dei voti: buono per garantire la governabilità del Paese da parte della prima forza politica, ma poco rispettoso del principio della rappresentanza parlamentare.

Per concludere, osservo con amarezza che la scarsa idoneità dei cittadini ad eleggere i “migliori” e la diffusa incapacità di molti eletti ad occuparsi del bene comune ci fanno abbandonare il sistema elettorale più giusto sotto il profilo democratico, ed anche più semplice: il “proporzionale puro”.  Siamo costretti ad accettare, per evitare l’ingovernabilità, sistemi complicati, spesso favorevoli alle maggioranze del momento e di dubbia democraticità. Con ciò si arrecano almeno due danni alla democrazia: si continua, anzitutto, a ritenere (purtroppo colpendo nel segno) che molti cittadini italiani siano immaturi dopo settant’anni di democrazia e di scolarizzazione di massa e però si trascura l’interesse di tutti gli altri – spesso impegnati nel politico-sociale più che nella politica politicante – ad essere protagonisti consapevoli del loro futuro; si provocano, inoltre, la disaffezione verso i doveri civici (in primo luogo quello del voto) di coloro che hanno un mediocre senso dello Stato e la pericolosa indifferenza di tanti altri che vivono in modo tiepido le vicende pubbliche e si trovano in mezzo al guado fra gli interessi particolaristici e quelli rivolti al bene comune.

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"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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