Pubblicato il 26 Novembre 2015 | di Redazione
0Chi sono io per criticare?
La domanda del titolo non è mia, ma di Giuliano Ferrara, un uomo quasi unanimemente ritenuto intelligente, ed è stata pronunciata nel contesto malinconico del caso Ruby. Rimango stupefatto davanti all’ingenuità dell’interrogativo rivolto a se stesso e alla platea degli uditori. Chi sono io? Chi è Ferrara? Anzitutto è un cittadino.
Con tutto ciò che implica la definizione e con ciò che ne consegue. Perché questo timbro della cittadinanza, che Ferrara, come tutti noi, si porta addosso, significa che è titolare del diritto di scegliere quelli che ci governano. Ogni cinque anni siamo chiamati infatti a votare, cioè a scegliere i partiti e gli uomini a cui affidare tale responsabilità. Come si fa a scegliere e a giudicare, senza prima conoscere? Prima di votare, io devo sapere quali sono i programmi dei partiti e quali le carature morali e politiche di chi mi chiede il voto, cioè dei partiti e delle persone che mi chiedono fiducia.
Ferrara quindi evade dal tema, dura essendogli la censura di un comportamento del suo Capo.
Prescindo dalla moglie di Cesare, i cui titoli di probità erano pretesi dai nostri progenitori romani, e mi fermo all’attualità rovente di queste settimane.
Si dà il caso che un uomo, a notte fonda, telefoni alla questura di Milano per chiedere il rilascio, con affidamento alla consigliera regionale Nicole Minetti del Pdl, di una minorenne arrestata per furtarello, asserendo trattarsi della nipote di Mubarak, allora presidente non ancora spodestato dell’Egitto.
Delle balle del nostro Presidente abbiamo contezza vastissima e ricorrente, considerato che su di esse sono stati perfino scritti libri da cinquecento pagine come «Le mille balle blu» di Marco Travaglio. Che ora se ne spari una assimilabile a quelle che concludono i fuochi d’artificio del santo patrono, ci lascia quasi indifferenti, tanto fitta è ormai la loro frequenza.
La nipote di Mubarak dunque. Sorpresa a rubacchiare e portata in questura. Data l’eminente parentela, non si capisce perché il nostro ineffabile presidente non abbia interessato, come sarebbe stato suo dovere, l’ambasciata egiziana in Italia? Domanda mortificante per la sua estrema, “pelosa” ingenuità. È come chiedersi perché non apri l’ombrello, se piove a dirotto? Che centra Mubarak nel deprimente contesto di una notte milanese in cui una ladruncola minorenne viene acciuffata alle due di notte dalle forze dell’ordine? Il presidente del Consiglio ha un’opinione molto scarsa e rarefatta dell’intelligenza degli italiani. Ne dubita, e pensa di poterla usare, palleggiandola tra le mani, come fa il giocoliere con le biglie.
A questo punto la Ruby dismette i panni della povera ragazza sperduta tra le brume milanesi e diventa un personaggio. Il personaggio. Una che dichiara, senza tanti preamboli che il suo unico problema è arrampicarsi, dare la scalata a qualcosa. Per questo – lo si scopre subito – ha frequentato le notti dei bunga bunga alla corte del sultano, ad Arcore. «Potrei diventare una escort o una deputata al Parlamento» dichiara, accostando due funzioni con la leggerezza blasfema di chi non è consapevole di come va il mondo. Così almeno appare, almeno a prima vista.
Dice infatti la tv di qualche sera fa, che la ragazza ha fatto una fugace comparsa in una discoteca di Vienna al modico compenso di 40 mila euro, più o meno quanto guadagnano in un anno due operai. Essere sul proscenio dei mass media e frequentare i sultanati rende, eccome!
A questo punto si apre una indagine giudiziaria per accertare se nel comportamento di chi ci rappresenta possa configurarsi qualche ipotesi di reato, come lo sfruttamento della prostituzione di una minorenne, o/e la concussione, che scatta per l’abuso della qualità o della funzione (si discute ancora la duplice alternativa) di presidente del Consiglio per ottenere un vantaggio illecito da un pubblico ufficiale, quale è la Questura di Milano. Il premier dunque, allegramente dimentico della sua funzione e della sua responsabilità, usa allora la tv, come scanno delle sue esternazioni, incentrate nel suo abituale e stantio vittimismo, ripetendo la solfa della persecuzione giudiziaria dei giudici di Milano, incalliti comunisti e persecutori di innocenti, chiedendo che il processo sia trasferito a Roma al Tribunale dei Ministri, il quale giudica a seguito di autorizzazione specifica del Parlamento, dove egli potrà usare la sua maggioranza per respingere la pretesa milanese. Al solito, il nostro si difende dal processo e non nel processo, come invece avviene per ogni comune cittadino.