Emanuele Giudice

Pubblicato il 26 Novembre 2015 | di Redazione

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Guerra di parole e sostanza dei fatti

Occorre veramente, a questo punto, liberarsi dalla schiavitù delle parole, di quelle consunte dall’uso soprattutto, dai luoghi comuni di asserzioni indiscutibili e da un estremismo utile solo a nascondere malamente, le proprie inclinazioni autoritarie e le pulsioni autocentriche, che portano chi ha il potere a ritenersi il centro del mondo.

Ci sono contraddizioni che ti saltano addosso e non puoi  rimuovere da te perché spesso chi parla usa la parola per auto-assolversi o auto-celebrarsi in un raptus penoso di egolatria. Qualche esempio.

Nella cultura liberale è fondamentale l’iniziativa privata, contro ogni tentazione statalista che si esprime nell’intervento asfissiante dello Stato nella vita e nell’economia. Ci capita invece di sentire il padrone di tre reti televisive private e controllore di altre due pubbliche, farsi paladino a sproposito di liberalismo, pluralismo e competizione economica, proprio mentre opera in regime di quasi totale monopolio mediatico. Un monopolio di cui spesso si serve per una aggressione insensata alla magistratura definita “cancro” e dei giudici malati mentali.

Il difetto dell’estremismo, imputato ai suoi avversari, è invece un tratto essenziale della sua sembianza politica, quella di un uomo che sconosce la virtù della moderazione e della sobrietà, preferendo spesso affidarsi al linguaggio truculento di chi crede ciecamente in se stesso e perciò straparla, minaccia, addita, criminalizza chi gli è contra- rio, facendo leva sull’investitura popolare interpretata come sanatoria, presente e futura, di ogni malessere e come rimedio a ogni eccesso del potere.

La moderazione è una virtù etica che in politica assume significati peculiari in ordine alla convivenza civile. Significa capacità di ascoltare gli altri, di porre attenzione alle loro ragioni, di accogliere ciò che è giusto e conveniente. La prudenza, l’equilibrio, il rispetto delle istituzioni, il culto della legalità, sono valori irrinunciabili in un contesto democratico fondato su solide basi etiche. È tutto il contrario di ciò che vediamo.

La politica viene vissuta in un alone asettico e immunizzante che legittima ogni sproposito, ogni prevaricazione e ogni abuso di linguaggio e arriva all’indecente insolenza contro le istituzioni giudiziarie. È un radicalismo ricorrente, endemico, usato a testa bassa per definire la  magistratura un cancro, la Presidenza della Repubblica una entità da limitare nei suoi poteri, la Corte costituzionale un covo di giudici comunisti, il voto un lavacro assolutorio, la democrazia un ingombro al proprio delirante azionismo, il Parlamento un perditempo inutile.

La politica diventa così un approdo di salvezza per malfattori di vario conio e provenienza, luogo del privilegio, sinecura per magnati, spazio  per l’intrigo e l’affare.  Un’officina in cui costruire le proprie sicurezze affidandole a un forziere di abusi e privilegi. Vi si inventano le diavolerie per piegare le leggi ai propri personali interessi e salvarsi dai processi in cui si è imputati. Salvare la “roba” assassinando l’uguaglianza dei cittadini.  Quindi processi brevi o lunghi, secondo convenienza, prescrizioni ad personam dei reati, abolizione delle intercettazioni telefoniche per evitare sguardi indiscreti sullo squallore di certi affari e dei propri comportamenti nella sfera sessuale.

Non sono esempi accademici, ma cronaca quotidiana, malinconica e decadente, che  riepiloga la vergogna in cui vive il Paese. Siamo allo spappolamento di una civiltà giuridica millenaria, con l’unico scopo di offrire al potente indecorosi salvacondotti che cancellano ogni principio di uguaglianza e di decoro istituzionale.

Per fortuna, il responso elettorale di domenica 15 maggio, pare aver svegliato l’elettorato da un lungo e inspiegabile torpore. A Milano l’elettore ha fatto piazza pulita di tutte le favole metropolitane, scegliendo al primo turno Pisapia, e punendo la Moratti, sindaco uscente. Il clichet di Pisapia estremista, accusato di un furto mai commesso, è precipitato miseramente nel ridicolo perché l’elettorato ha respinto ogni tentazione mistificatoria, affidando la scelta amministrativa solo alla sua intelligenza. Un’opzione libera e oculata che cancellava tutti le mendaci sembianze di estremismo costruite addosso al personaggio.

Basterebbe d’altronde dare un’occhiata a internet, per scoprire che Giuliano Pisapia non è un sovversivo della sinistra, ma un penalista di comuni origine borghesi, il cui padre, Giandomenico, era un penalista eminente, noto a qualsiasi studente di diritto penale. Ma questi qui sono allergici anche a internet, oltre che al buon senso e alla verità.


Autore

"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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