Emanuele Giudice

Pubblicato il 26 Novembre 2015 | di Redazione

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La rivoluzione della povertà come libertà

Che significa essere poveri nella società globalizzata, afflitta dalla tentazione consumistica e dalla febbre del successo? C’è sempre un riferimento economico che non può essere accantonato e che vede la povertà come carenza di beni materiali, privazione del necessario indispensabile per vivere, quindi come afflizione e punizione che alcuni sono chiamati a scontare a differenza di altri.

È una povertà che può germogliare da una situazione di partenza, il nascere poveri, oppure trarre origine da un accadimento della vita che porta a divenire poveri. In ognuno di questi contesti appartiene allo Stato il compito di garantire il benessere e la felicità dei cittadini, lottando contro le disuguaglianze e riducendo le distanze tra ricchi e poveri.

Per fare ciò  lo Stato ha diversi strumenti a sua disposizione: la leva fiscale che gli consente di far pagare di più a chi è più ricco e di meno, o nulla, a chi è più povero, l’erogazione dei servizi a basso costo economico o gratuitamente, come la sanità, la pubblica istruzione, l’assistenza, i trasporti, la casa, le infrastrutture viarie, il lavoro, etc. Sono un interventi che consentono di ridurre lo stato di indigenza, trasferendo sui più ricchi l’onere necessario per garantire tali servizi.

C’è un tipo di povertà che nasce dalla natura, la quale dota ciascuno di condizioni e talenti diversi. Le differenze attengono al possesso di talenti innati: l’intelligenza, la sobrietà, la generosità, l’intraprendenza. O anche a condizioni personali scaturite dalla natura. È la povertà di chi nasce con un handicap o una inabilità, o con un quoziente di intelligenza più basso, o con una minore capacità di intraprendenza, costringendolo a vivere il rapporto con la società in modo problematico, all’interno cioè di un disagio che arriva a forme di segregazione e di rifiuto della vita associata.

C’è poi una povertà come scelta, che nasce da una libera determinazione spirituale dell’uomo. I “poveri nello spirito” che Gesù chiama beati appartengono a questa categoria di persone che maturano in sé il coraggio di rompere il legame con le cose, con gli affetti, i condizionamenti e le lusinghe che la vita ci riserva. È una scelta di libertà, di rottura con i legami che schiavizzano l’uomo creando dipendenze che limitano la sua libertà. È la rivoluzione di una soggettività che rinunzia a sentirsi il centro del mondo, rinnega se stessa per recuperare la propria identità e libertà.

Francesco che si spoglia delle sue vesti e riconsegna le vesti al padre, non fa solo una scelta di povertà materiale, ma compie un gesto di libertà: da quel momento egli è un uomo che non dipende più dal pane, dal vestito, dalla lusinga della felicità che le cose materiali gli assicuravano prima.

Gesù, povero e figlio di poveri, ha indicato l’amore come timbro dell’immagine di Dio, ma anche come strumento di condivisione del dolore altrui e conversione del cuore. Ma non ha chiuso la legge dell’amore nella gabbia blindata di un rapporto tra due persone, il povero e il ricco. La legge della carità diventa punto di snodo iniziale per  abbattere la povertà e vincere la disuguaglianza. Dall’interno della legge dell’amore, emerge anche la opportunità della sua proiezione pubblica, che si estrinseca nell’azione dello Stato chiamato a realizzare condizioni di maggiore uguaglianza tra i cittadini.

Per questo la proiezione pubblica del dovere della carità è momento irrinunciabile della politica. I testimoni veraci del Cristo si battono per portare nella storia la rivelazione dell’amore traducendola in impegno per realizzare l’uguaglianza, su cui si fonda anche la giustizia e la pace. È ciò che ci ha trasmesso la voce di alcuni dei profeti del nostro tempo da Mazzolari al vescovo Bello, a Dossetti, La Pira, don Milani, Teresa di Calcutta, e a tanti altri.

Fuori da tali esperienze, sopravvive il disagio di un cristianesimo anemico, mondano, succube di tentazioni accumulatorie e conservatrici, che negano la sostanza profetica dell’annuncio che “fa nuove tutte le cose”.


Autore

"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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