Pubblicato il 26 Novembre 2015 | di Redazione
0Si avvicina il crepuscolo del semi-dio
In questa malinconica deriva del tramonto, della fine annunciata e praticamente iniziata del Berlusconi politico, si inscrive il dovere di guardarsi indietro, di trarre una lezione dal disvelarsi dell’uomo nella sua autentica natura di egoarca che ha tentato di imporre al Paese un’agenda politica vacua di risultati come una bolla di sapone.
Siamo a un finale che lascia dietro di sé una coda di insane pretese personali: legge bavaglio per impedire le intercettazioni telefoniche, lodo Alfano 1 e 2 per esentare il premier dalla responsabilità penale, legge sul legittimo impedimento per evitare le udienze dei processi in cui è imputato, legge sul processo breve che, almeno nella sua prima versione, voleva tagliare con una ghigliottina i processi in cui il egli era ed è imputato, salvandosi dalla galera, ed altre “amenità”. Come se non ci fossero altri problemi e reclami ad affliggere il Paese: la disoccupazione, la tutela sanitaria, la scuola, la sicurezza, l’economia e cento altre urgenze. Una politica dissennata, destinata a ruotare attorno a interessi personali, a frequentazioni malavitose e ad inclinazioni viziose in materia sessuale.
A chi ha obiettato qualcosa, i cortigiani sono soliti replicare con una frase di abissale banalità: “più parlate di lui, più lo fate crescere in popolarità”. Meglio tacere dunque, e lasciarlo scorrazzare. Osservazione mendace, oltre che idiota. Si tratta di chi ci rappresenta ai vertici del governo, cioè, in ultima analisi, di noi stessi e del Paese. Non ha rilevanza se ad ascoltarci ci sia uno, nessuno o centomila. Sono tempi in cui tacere equivale a tradire. Occorre invece gridare per aprire le orecchie a chi vuol fare il sordo per convenienza o interesse.
Ora l’astro è in declino e molti, come chi scrive, tirano un sospiro di sollievo: ma attenti, finisce Berlusconi, ma non è detto che finisca il berlusconismo, quella cultura cioè del pressappoco, del tutto facile, dell’illusione del rimedio facile e a portata di mano, anche quando esso è lontano, del ritenersi al centro del mondo, celebrando se stesso, della presunzione dell’eternità dell’ego, del successo come droga e del voto come detersivo che cancella tutte le macchie del vestito, delle maggioranze onnipotenti e senza controllo, di un liberismo assertivo, dichiarato cioè a parole, ma rinnegato costantemente nei comportamenti.
La sensazione è stata quella di avere a che fare con un piccolo plutocrate ignorante e vanesio, afflitto da una parossistica adorazione di sé che lo ha spinto a prendere in ostaggio il Paese, a dominarlo e invaderlo, usando l’artificio come risorsa politica, spesso condito con una volgarità sprezzante e una sfrontatezza esibita che hanno dato la misura di un degrado che non trova riscontri né in Europa, né nella storia del Paese.
È una analisi questa, che non appartiene solo a chi scrive questo articolo, ma soprattutto a chi ha predisposto e voluto l’attuale crisi dandole una motivazione analoga a quella fin qui da me elaborata.
Non si tratta di cercare gli autori della crisi nei Bersani, Casini, Di Pietro, ma di una crisi che matura all’interno dello schieramento di centro-destra e trova in Gianfranco Fini il suo autore.
È doverosa una riflessione politica sul ruolo che nell’evoluzione della politica italiana hanno avuto le forze di opposizione, a cominciare da un Pd spesso esangue e annaspante, fino a un Casini ripetitivo e vacuo nel suo riproporsi come alfiere di una moderazione che rimuove le urgenze del Paese, a un Di Pietro arroccato in un oltranzismo più verbale che proficuo.
Diciamolo chiaramente, la scena politica è stata, negli ultimi tempi, dominata dalla figura di Gianfranco Fini che ha avuto il coraggio di rappresentare il nuovo, così interpretando le aspettative del Paese. Lo scrivo io che verso destra non ho mai avuto debolezze.