Pubblicato il 26 Novembre 2015 | di Redazione
0Un Natale dai colori dell’arcobaleno
Coccaglio è un piccolo comune del bresciano che ha occupato per un paio di giorni ampi spazi sui giornali in nome di una stravaganza miope e per tanti versi repellente.
Il sindaco, sin da ottobre, ha proposto alla convenzione dei Comuni leghisti di organizzare un’operazione chiamata, per sprovvedutezza o stupidità, «White Christmas», cioè Bianco Natale, usando la bella canzone natalizia, per un degrado di bassa inclinazione razzista. Natale bianco, cioè dei “bianchi”. Ecco l’idea: due mesi di controllo a tappeto, di casa in casa, dal 25 ottobre a Natale per cacciare gli extra-comunitari con permesso di soggiorno in scadenza e rispedirli a casa dopo denuncia alle autorità. La spiegazione della torva iniziativa ce la dà l’assessore alla sicurezza di Coccaglio Claudio Abiendi definendo il Natale «una festa della tradizione cristiana, della nostra identità, non la festa dell’accoglienza».
A parlare di identità cristiana sono gli stessi che celebrano ogni anno riti pagani a base di ampolle d’acqua del dio Po e che, con cento stravaganti iniziative segnate da un razzismo insolente alla Gentilini, Borghezio, Salvini, seminano rancore contro gli stranieri, sancendo infine, con apposita legge, la clandestinità come reato. Gli stessi che per l’identità italiana hanno un orrore ostentato, un giorno sì e l’altro pure, con vilipendio alla bandiera e altre “cosucce”.
Il Natale bianco è qualcosa che, forse al di là delle stesse intenzioni dei promotori, richiamano l’antico raccapriccio dei rastrellamenti nazisti degli ebrei in nome di una identità ariana da difendere deportandoli nei campi di sterminio e massacrandoli. C’è un veleno razzista che invade il Paese e fa rabbrividire, si esprime negli stadi con i cori contro il giocatore Balotelli, diventa delitto contro il negro reo di aver rubato un pacco di biscotti, propone di dare la preferenza ai milanesi nella metropolitana e cerca ogni occasione per aggredire il diverso e il povero. Si riporta l’umano nelle caverne di un primitivismo truce e rievocando tragedie e piaghe a tutt’oggi non sanate.
Non c’è sorpresa quindi nell’imbatterci in questo accanirsi nella demolizione di principi e valori fondanti della nostra civiltà, aggredendo addirittura la sacralità del Natale con uno svuotamento della sua sembianza più autentica e preziosa.
Chiudere la Buona Novella di Gesù nella gabbia di un gretto esclusivismo identitario, significa negarne le ragioni fondanti, e cancellarne l’essenza universalistica che come tale non ammette limitazioni e confini. Una farneticazione, figlia dell’ignoranza inconsapevole di chi non ha mai preso in mano il Vangelo, neppure per uno sguardo fugace, avendolo archiviato nei recessi lontani della propria infanzia.
Chi è Colui che viene tra noi e rende irripetibile quel miracolo d’amore che trova nell’accoglienza il suo fulcro irrinunciabile? Uno che viene a sancire un privilegio identitario, una tradizione inamovibile a difesa di alcuni e un’esclusione di altri? L’esclusione, per chi si professa cristiano e’ una bestemmia, un insulto al Bambino che nasce tra noi. Escludere qualcuno dal Natale, significa negarlo, demolirne le radici.
È quello che ci rimprovera Giovanni quando esclama, con lacerante rammarico «Venne tra i suoi e i suoi non lo ricevettero…» (Giov. 1,11). Oppure Luca nel racconto delle peripezie della Nascita segnata da una esclusione, quella di due pellegrini sgomenti, lei con le doglie del parto, lui invaso dalla costernazione sgomenta di chi non sa che fare: «perché non c’era posto per loro nell’albergo». (Luca, 2,7).
Proprio perché Lui e’ stato escluso dai suoi diventa un abominio, per il cristiano, escludere gli altri dall’evento essenziale della Nascita. Perché gli altri, gli estranei, hanno il volto stesso del Cristo che nasce. Il bambino di Betlem, viene a narrarci una nuova storia di Dio, quella del suo farsi uomo per tutti, di assumere in sè la storia umana come luogo del suo rivelarsi, spazio di un amore che riscatta da tutte le noindigenze, dalle contraddizioni, dalle violenze.
Egli viene tra noi come un estraneo, si fa straniero, diverso tra i suoi, perché incarna l’amore che abbraccia tutto e di tutti si fa garante, accogliendo ogni diversità e ogni dolore. Dello straniero Egli prende le vesti, l’identità, che diviene fatto identitario anche per noi, solo se lo avremo saputo accogliere. L’amore è includente per sua natura, e quello di Dio lo è in assoluto. Se dalla buona novella cristiana si estirpa l’accoglienza, si snatura, svilisce, disarticola e annulla tutto il messaggio, lo si uccide colpendolo al cuore.
Dal nostro presepe non può essere escluso nessuno perché esso raffigura la singolarità di un amore che si fa carne, visibilità, accoglienza, dono. Per questo il momento più drammatico, quello conclusivo della nostra avventura sarà riepilogato in un gesto di accoglienza che riguarderà la nostra disponibilità ad accogliere lo straniero che chiede ospitalità. «Ero forestiero e mi avete ospitato…». (Mt. 25).