Società

Pubblicato il 15 Gennaio 2016 | di Vito Piruzza

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Ripartiamo dai valori del Vangelo così i cattolici possiamo guarire la politica

E’ stato Monsignor Carmelo Cuttitta, presente all’iniziativa, che ha voluto chiudere il convegno che si è tenuto venerdì 8 gennaio presso la Camera di Commercio di Ragusa su iniziativa del coordinamento delle associazioni laicali della nostra Diocesi, guidati dalla lucida e sempre fresca capacità di analisi di Padre Bartolomeo Sorge,  su un tema di grande momento anche alla luce del Nuovo Umanesimo che la Chiesa italiana cerca di realizzare sulla scia del V Convegno Ecclesiale di Firenze: Cattolici e Politica al tempo di Papa Francesco.

E lo ha fatto testimoniando direttamente l’impegno di padre Sorge in Sicilia nel clima di grande tensione evangelica della “primavera” di Palermo mentre lui era un giovane seminarista, e la collaborazione offerta dal gesuita all’opera di intensa evangelizzazione portata avanti dal cardinale Pappalardo che affermava di volersi opporre alla mafia “con la sola forza del Vangelo”. La “profezia” di Pappalardo ha affermato monsignor Cuttitta, è stata valida allora e per lungo tempo ancora e in quella “profezia” c’è la radice del martirio di don Pino Puglisi che il Vescovo ha voluto ricordare come  “suo” parroco a Godrano prima dell’impegno a Brancaccio in cui ha pagato con la vita la testimonianza del Vangelo.

Per il nostro Vescovo che ha lodato l’iniziativa è importantissimo per i laici impegnati in politica ripartire sempre dal Vangelo e dalla forza che ne deriva, senza nessun bisogno di fare nuove crociate.

In effetti gli stimoli alla riflessione non sono mancati: in un auditorium stracolmo Giorgio Massari ha aperto i lavori analizzando le tante criticità della politica a partire dalla diseguaglianza antropologica tra chi ha “conquistato” lo spazio grazie alla tecnologia che annulla le distanze è chi è rimasto “legato alla terra” quasi un nuovo servo della gleba; si potrebbe dire che la lotta di classe non esiste più: l’hanno vinta i ricchi!

La metafora che ha usato è quella di Revelli di una politica in cui “si naviga a vista” e con le “mappe scadute” perché son venuti a mancare i riferimenti chiaramente individuabili che ne costituivano i punti cardinali. Sotto attacco c’è la democrazia liberale e rappresentativa con continue oscillazioni tra sfiducia nella rappresentanza e richiami a forme di democrazia diretta, in un passaggio sempre più visibile dalla democrazia dei partiti alla democrazia della sfiducia (solo l’8% dei cittadini ha fiducia nel Parlamento), che apre lo scenario nuovo di una “democrazia senza popolo” che è il primo passo di un percorso che ha come approdo un “popolo senza democrazia”!

Non è solo un problema di ceto politico, è un rivolgimento del modo di costruire la relazione democratica: si mette in discussione la selezione tramite la scelta elettorale e si privilegia una nuova modalità di relazione che al confronto sostituisce lo scontro, l’odio; funzionalmente a questo aumenta la personalizzazione della politica e il ruolo del leader e l’importanza dell’immagine. Per Massari si consuma così il passaggio dall’homo sapiens  all’homo videns : dall’uomo che capiva senza vedere grazie alla trasmissione del sapere, all’uomo che vede senza capire perché intercettato solo nella dimensione emotiva.

In questa dimensione l’antipolitica assume la sfiducia come bandiera per affermarsi fenomeno già visto in altri contesti e che non costituisce una novità: il motto dei populisti francesi nel 1957 “cacciamo gli eletti” è perfettamente sovrapponibile al “tutti a casa” che ha recentemente attraversato l’Italia odierna.

Tutto questo ovviamente avendo come riferimento “il popolo”, che viene enfatizzato come vittima, sano, virtuoso, contrapposto a un sistema corrotto e ostile, un popolo che nella realtà non esiste in questi termini e che invece è un’entità utilizzata come clava di combattimento contro gli altri (che ovviamente ne sono avulsi).

E a completare il quadro tutto va incorniciato in un mondo in cui la globalizzazione ha ridotto enormemente la rilevanza del territorio e del suo popolo, e nella “demo-crazia” se si assottiglia fino a sparire il territorio e il popolo cioè il “demo”, rimane solo la “crazia” il potere!

Lo scenario peraltro piuttosto cupo disegnato da Giorgio Massari si apre in una domanda di speranza che è ovviamente un’assist all’intervento di Padre Sorge: Date queste coordinate, quale impegno per noi?

Padre Bartolomeo Sorge, gesuita già direttore di Civiltà Cattolica e di Aggiornamenti Sociali, fondatore della Scuola di Formazione Politica “Pedro Arrupe” di Palermo, ispiratore di quella stagione sociale e politica ricordata come “la primavera di Palermo” che vide sorgere una nuova classe dirigente a partire dalle esperienze amministrative delle città, ha esordito citando quella esperienza palermitana come cruciale nella sua vita.

Ha parlato della testimonianza del Cardinale Pappalardo che nel loro primo incontro in un contesto in cui la mafia puntava direttamente contro lo stato gli disse che contro le armi della mafia noi abbiamo solo il Vangelo. “Con il Vangelo siamo andati nelle piazze, nelle scuole, in televisione. Quando mi chiedono: quale ricordo forte ho di 11 anni a Palermo? Ho imparato che il Vangelo è vero, è l’esperienza più bella che ho fatto.”

La differenza tra le armi e il Vangelo è che le armi tagliano l’erba cattiva, ma solo il Vangelo fa seccare le radici.

“Quando ho visto la Primavera di Palermo, in cui la gente gridava basta alla mafia, io ebbi conferma che il contributo del Vangelo fu determinante. Per la prima volta la mafia ha avuto paura della Chiesa. Per questo padre Puglisi fu ucciso.”

Per Padre Sorge la cifra del papato di Francesco è il ritorno alla essenzialità del Vangelo rispetto alle espressioni temporali e richiama i consigli di San Bernardo di Chiaravalle al suo allievo divenuto Papa Eugenio III in cui lo invita a ricordarsi che il Papa non è il successore di un imperatore, ma di un pescatore!

Anche nella politica Francesco da le coordinate di un approccio ispirato al Vangelo e Padre Sorge ha incentrato la sua riflessione sul pensiero del Papa a partire dai paragrafi del terzo capitolo dell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium” dal 222 al 233 in cui si parla de “Il Bene Comune e la Pace Sociale”.

Per Sorge la politica è il sangue della società e quando il sangue è infetto il corpo muore, per questo nessuno può restare indifferente alla crisi della politica, il populismo e l’antipolitica sono la manifestazione della crisi che va superata; le ideologie dell’800 a prescindere dai contenuti avevano in sé una carica ideale per la quale valeva la pena di lottare, chi fa politica deve sentire una vocazione, una carica che li spinge, chi fa politica per professione e senza vocazione è un disastro, uccide la politica!

Per Sorge i partiti oggi sono ancora inadeguati al loro nuovo ruolo, sono dei morti che camminano, devono darsi una nuova forma altrimenti rischiano di perdere il loro importantissimo ruolo sociale.

Ecco quindi le coordinate per superare la crisi della politica:sintetizzabili in 4 concetti chiave: 1) La tensione etica e ideale; 2) Una laicità positiva; 3) Il Bene Comune; 4) Lo stile del servizio.

  • Spesso la tendenza è quella di cercare il potere per realizzare subito ed avere risultati in tempi brevi in modo da catalizzare consenso, ma questo può entrare in conflitto con una programmazione ideale e con la possibilità di operare benessere stabile; “il tempo è superiore allo spazio” nel senso che la trascendenza dei valori non va sacrificata alle soluzioni di breve periodo. Lo sviluppo tecnologico poi ci ha dato la sensazione dell’onnipotenza, questa sensazione ci porta a tralasciare i valori e ad occuparci solo degli interessi, ma l’assunto liberale che la politica si autoalimenti e che non abbia bisogno di apporti esterni ad essa è una illusione che già Bobbio aveva sfatato; la politica ha bisogno di riferimenti superiori, per non implodere ha bisogno dell’etica che può essere generata solo dal senso religioso. Solo se ancorata a valori che la trascendono la politica si regge in piedi. La politica e lo stato hanno bisogno della spiritualità per gestire la modernità.
  • La politica è laica. Per padre Sorge la laicità è il rispetto dell’autonomia dei saperi e delle scienze e anche della politica. Oggi per vivere insieme bisogna essere laici, ma una laicità positiva è superamento del dogmatismo confessionale, ma anche di quello ideologico; da qui l’appello a partire sempre da ciò che ci unisce per andare verso una nuova società: Dobbiamo riuscire a vivere uniti rispettandoci diversi! Siamo costretti a questo dalla Storia. Non esistono problemi nuovi che non siano planetari. Se piglia fuoco un angolo della terra prende fuoco la terra, finché non c’è pace a Gerusalemme c’è guerra in tutto il mondo. Siamo uniti, anche non volendolo, siamo una cosa sola, siamo costretti a fare nella storia ciò che è inevitabile. Se non faremo questo, non potremo fare un mondo migliore.
  • In una società globalizzata il Bene Comune va individuato in una dimensione che pur tenendo conto delle specificità locali si inscrive in una dinamica nazionale e addirittura sovranazionale cosa che rende più complessa la ricerca di soluzioni. Bisogna agire nella propria realtà locale avendo la capacità di pensare in grande in una dimensione nazionale ed europea, altrimenti si perde il treno.
  • Per Sorge un servizio politico non è per essere serviti ma per servire; solo questo è lo stile che stimola i cittadini a concorrere.  Intuizione profonda del Papa è il suo rivolgersi ai cittadini e non ai politici. La crisi nasce dal quartiere, dalla famiglia, dalla scuola, dalla formazione, e ci interpella tutti, nella necessità di dare il nostro contributo.

Quando uno ha servito, attenendosi alle istruzioni evangeliche dica “sono servo inutile, ho fatto solo il mio dovere”. Ma è giusto chiarire che nel testo greco del vangelo il termine “inutile” è traducibile “senza utilità” ovvero senza averne tratto beneficio e questa dovrebbe essere la giusta dimensione del servizio politico reso alla luce del Vangelo. La dimensione del disinteresse è quella da riscoprire.

 

L’agire politico è comunque un ambito specifico dei laici, e la parola di sintesi di tutta la riflessione è e resta: Formazione!

Proprio sulla conclusione di padre Sorge si è innescato il primo degli interventi programmati da parte del responsabile della Pastorale Sociale e del Lavoro Renato Meli che ha portato l’esperienza di formazione socio-politica portata avanti in favore degli operatori dell’organismo diocesano e poi trasferita in incontri con le comunità parrocchiali ed ha espresso l’ansia di poter fare di più con un adeguato investimento in capitale umano.

Mario Tamburino di Comunione e Liberazione ha indicato uno dei problemi alla base della crisi nella mancata visione della Persona nella sua completezza, oggi l’Io viene visto sono nella dimensione giuridica della titolarità di diritti, non nella ineliminabile dimensione della Relazione, spesso non si percepisce che l’altro può essere un bene per me, di più, l’altro mi è indispensabile per essere me stesso. Questo implica la necessità del dialogo, ma il dialogo non è una mediazione, ma la ricerca di una soluzione buona per tutti,non si può rifiutare o ignorare il conflitto, ma lo si deve elaborare in un nuovo processo. Il modo migliore di dialogare non è discutere, ma progettare ecco che arrivano le risposte come ad esempio il Centro Aiuto alla Vita, la realtà di padre Beniamino etc.

Giuseppe Ferraro della FUCI ha espresso il proprio rammarico per l’indifferenza dei giovani nei confronti della politica che percepiscono lontana dal loro modo di vivere e sostanzialmente appannaggio del mondo degli adulti: si percepiscono “ignorati” dalla politica e “ignoranti” della politica. L’unico ambito in cui è possibile un incontro con l’azione sociale finisce per essere quella socio-caritatevole.

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