Pubblicato il 29 Gennaio 2016 | di Mario Cascone
0Figli di Chi?
L’attuale discussione al Senato della legge sulle unioni civili pone ancora una volta alla ribalta una delle questioni etiche più spinose, che da tempo accende il dibattito pubblico: quella dei figli e della loro relazione con la coppia genitoriale. Il punto più controverso di questa legge, infatti, è la cosiddetta “stepchild adoption”, ossia l’adozione del bambino che vive in una coppia dello stesso sesso, ma che è figlio biologico di uno solo dei due.
L’idea di fondo, che anima questa legge, è l’equiparazione di queste unioni al matrimonio, anche se negli ultimi giorni si sta cercando di attenuare questa similitudine, perché qualcuno ha ricordato che una sentenza della Corte Costituzionale del 2010 afferma che per la nostra Costituzione il matrimonio è l’unione fra persone di sesso diverso. Per non correre il rischio di varare una legge che contenga profili di incostituzionalità si sta cercando, dunque, di modificare qualcosa del testo Cirinnà. Pare però che queste modifiche non riguardino la questione delle adozioni, sulla quale ci sono posizioni diverse fra i partiti e fra i parlamentari all’interno di uno stesso partito. Renzi si è affrettato a dire che su questo punto ognuno sarà libero di votare “secondo coscienza”: un’espressione, questa, che personalmente mi ha sempre sollevato ironici sorrisi, perché mi ha fatto pensare che il voto “secondo coscienza” viene riservato solo alle problematiche morali più spinose, mentre sulle altre questioni la coscienza non entrerebbe in gioco…
Al di là delle valutazioni politiche, sulle quali l’opinabilità è sempre d’uopo, mi sembra che vada fatta invece una rigorosa riflessione etica riguardante il bene dei figli, su cui molti sembrano non interrogarsi. Prevale infatti l’idea che bisogna fare il bene degli adulti, etero o gay che siano, mentre non si presta attenzione al vero bene dei figli e ai loro diritti. A questo riguardo alcune precisazioni, peraltro lapalissiane, mi sembrano utili. Intanto va ricordato che per il concepimento dei figli occorre pur sempre l’unione di un gamete maschile e di un gamete femminile; va pure precisato che il figlio concepito trova il suo habitat naturale nel grembo di una donna, per cui nel caso di una coppia omosessuale maschile che voglia un figlio si dovrà comunque fare ricorso al cosiddetto “utero in affitto” di una donna disponibile; va infine messo in luce che non trovano alcun riscontro scientifico le opinioni che tendono ad annullare la diversità complementare dei due sessi (le cosiddette teorie del “gender”). Le prassi instaurate in alcuni pubblici uffici, che hanno annullato nei documenti le dizioni “padre” e “madre” per sostituirle con “genitore 1” e “genitore 2” appaiono mistificatorie, se non apertamente ridicole, ponendo peraltro problemi di gerarchia su chi è il “genitore 1” e chi invece dovrà accontentarsi del secondo posto…
Ma c’è di più: il bene del figlio passa anche attraverso l’intervento educativo dei genitori, che trova già nelle leggi di natura una ricca differenza complementare fra l’amore paterno e quello materno. Tutte le volte che, per vari motivi (separazione, morte di uno dei genitori), il bambino non può contare sulla contemporanea presenza del padre e della madre, subisce certamente qualche ferita ed ha bisogno di essere sostenuto in modo particolare nel suo cammino educativo. È assurdo affermare che il figlio possa crescere con sano equilibrio se, piuttosto che contare su un padre e su una madre, potrà avere due padri o due madri…
Io però ho citato le “leggi di natura”. Ed è proprio questo il nodo più problematico: noi infatti siamo pervasi da una cultura che apertamente nega il riferimento metafisico al rispetto della “natura”, intesa come essenza ontologica, sulla cui base si fondano i diritti e i doveri. La cultura del nichilismo, dell’individualismo libertaristico, dell’utilitarismo usa ancora il termine “ecologia”, ma lo riferisce unicamente al rispetto della natura delle piante, degli animali, dell’aria e dell’acqua, mentre si guarda bene dal rapportarlo al rispetto della sessualità, del matrimonio e della procreazione. Al di là di ogni riferimento confessionale è però il caso di ricordare che l’articolo 29 della nostra carta costituzionale parla della famiglia nei termini di una “società naturale fondata sul matrimonio”.