Pubblicato il 7 Marzo 2016 | di Redazione
0Il Ritorno al Futuro dell’UOMO ne ”Il Ciliegio e la Montagna”
L’incipit del Romanzo di Cavarra è emblematico e profondo sul piano letterario e artistico e si pone ad un livello di viaggio del desiderio e della memoria alla ricerca dell’idealtipo weberiano di un modello di umanità che rischia di non sopravvivere più di fronte all’incalzante e massivo individualismo conformistico e alla spirale meccanica del consumismo compulsivo e vorace della fredda e cieca postmodernità contemporanea. Si recita e si tramanda che < il migliore dei fiori è il ciliegio, il migliore degli uomini è IL SAMURAI >.
La crisi dell’umanità dell’uomo avanza sul fiume carsico e su quello storico e visibile dell’uomo e dei suoi sentimenti fondamentali di pietà, di compassione e di benevolenza.
L’uomo libero di oggi è senza armatura e sicurezza di pensiero e di discernimento morale e religioso. E’ nudo di fronte a sé e alla sua storica folla solitaria. Indifferente e cinico consuma tutto e si consuma nel cuore e nelle azioni quotidiane, perché manca di coraggio e di forza di resistenza contro il più diffuso e complice peccato di omissione e di irresponsabilità comunitaria.
La deviazione socioculturale e valoriale sale dalle strutture di male e di peccato e ritorna alla foce del mare “tenebroso e oscuro”.
L’essenza del profilo umano non è oggi in modo prevalente “l’ordo amoris” ma il peccato di debolezza del cuore e la corazza morale e religiosa del fariseo che si preoccupa di apparire ma non di essere, di avere di più e di trattare gli uomini (compresi i poveri, i deboli, le donne, i vecchi e i malati) come oggetto, alla terza persona impersonale e insensibile.
A ben vedere, secondo E. Cavarra, c’è nostalgia di Medio Evo non in senso banale ma metaforico, di un Evo di grande spiritualità e di amore generoso, di valori di senso e di scopo, di un mondo servile nelle classi e nelle strutture ma nobile e generoso sul piano spirituale e cavalleresco.
Manca l’intimità e la profondità del SAMURAI, del suo santo orgoglio e della sua forza di lotta contro il male contagioso e prevaricatore. Sta scomparendo il cavaliere dell’Ordine vivente e protettore dei poveri e oppressi, il bullismo giovanile e sociale cresce a macchia d’occhio, l’etica della corresponsabilità non appartiene come dovrebbe agli adulti educatori.
Non sembri esagerato affermare che questa di ora è l’epoca della nuova giungla e della foresta nera dove la violenza deve essere imprigionata e armata di una corazza spirituale.
Diceva Michel de Montaigne che <la stoltezza è una brutta qualità>. Gli Stolti fanno a gara su Internet non perché “siano ubriachi che parlano”, ma perché “parlano a vanvera” e “sparano sentenze e pregiudizi” pretendendo adesione acritica e militanza cieca.
Montaigne confessava che soffriva tanto quando era rimproverato dai suoi amici che gli dicevano: “Sei uno sciocco, sogni!”.
Il romanzo “Il Ciliegio e la Montagna” non è un libro di svago ma di compito, non è una bella favola ma una stupenda “leggenda di un Samurai, Yama, che “una volta combatteva al servizio di Dio, mentre ora serve un Signore di cui non comprende gli ordini” (p.7). “Il mio nome è Bartolomeo, signore, ma quando sono giunto in questa terra, mi hanno chiamato Yama….montagna innevata….Provengo da una terra molto lontana, un’isola come questa, chiamata Trinacria. Sono il figlio…”(p.25). Si sciorina ora la narrazione, ben fatta, della saga del Samurai Yama, leale e fedele, accusato ingiustamente di un male non fatto….” ora la tua donna riposa nella grotta in cui avete vissuto felici.” (p.109). Nel dialogo finale tra Bartolomeo e Gregorius si affronta il tema dello scioglimento e della fine dell’Ordine dei Templari (p.207).
In filigrana si può leggere oltre la narrazione il significato della leggendaria fine dei Templari con la nascita di una nuova umanità, da una famiglia cristiana, provata dalla violenza dei tempi, dall’imbarbarimento dei costumi e dalle guerre di religione che toccarono anche l’isola di Trinacria al centro del mare di mezzo tra Ovest e l’estremo Oriente.
E’ di moda dire che è superata la missione del romanzo cristiano ma in realtà ogni rivisitazione come importazione storica manifesta nella nostalgia del passato la più umana “nostalgia del futuro”, un nuovo corso dello Spirito che “si fa operaio per ricostruire la sua Casa”.