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Pubblicato il 22 Marzo 2016 | di Redazione

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Alle Radici della laicità “ bene comune “ (Testimoni,Profeti e Maestri)

Il confronto dialettico nella Modernità tra laicismo e clericalismo ha prodotto una lunga stagione di cieca contrapposizione ideologica e impedito la ricerca di una saggia laicità rispettosa e feconda di bene comune. Iniziamo con l’esame del pensiero di intellettuali cattolici e di laici di cultura moderna. Il vizio polemico di oggi deriva dalla presupposizione di origine illuministica di una dicotomia storico-culturale del Medio Evo come oscurantismo e integralismo politico-religioso di contro ad una Classicità umanistica “greco-romana” di partenza storico-critico da un lato e dall’altro di fronte ad un EVO MODERNO di stampo progressista,rinascimentale e rivoluzionario fondato sulla Ragione e su una etica pubblica liberale e non precettistica.

Caffaro Francesco – Padre teatino di Messina, insigne e dotto monaco vissuto a Parigi nella prima metà del Settecento. Fu un coraggioso sostenitore della libertà della cultura e della sana autonomia delle lettere e delle Arti e ,in particolare, del Teatro rispetto alla Fede e alla dottrina teologica nel periodo della Controriforma.

Nacque a Messina probabilmente verso il 1650 da Tommaso, alto magistrato di una famiglia sinceramente cattolica e di orientamento culturale e politico filo-francese. Il fratello Marcantonio si era impegnato pubblicamente a organizzare la rivolta antispagnola del 1674-76 con ardimento e iniziale successo. Si formò dai padri teatini dove nel 1666 fu chierico e pare che godette, ma senza profitto concreto anche dell’appoggio del Re Sole per la sua candidatura all’Arcivescovado di Messina. Con l’avvento del dominio spagnolo fu costretto ad andare in Francia presso la Casa teatina di Parigi. Vi fu accolto nel convento di Sainte – Anne – la Royale dove ne furono stimate e apprezzate le doti di ingegno, di pietà e le eccezionali capacità organizzative. In quel convento fu scrutatore, vicario e infine Superiore dal luglio 1683 al giugno 1686. La provincia teatina di Francia lo mandò al Capitolo generale del suo Ordine a Roma. Era capace di attente notazioni e di interessanti e scrupolose osservazioni sulla vita quotidiana e sui costumi del tempo. Di ciò diede prova nel suo Journal de voyage du P. Caffaro en Italie et Allemagne del 1686 (conservato manoscritto nella Biblioteca Nazionale di Parigi, nouv, acq, fr, 1901). Fu coinvolto involontariamente in una polemica filosofica e letteraria quando E. Boursault pubblicò a Parigi nel 1694 le sue Pièces de theatre prefate da una Lettre d’un theologier illustre par sa qualité et son mérite consulté par l’auteur «per sapere se la Commedia può essere permessa e adeguatamente difesa come genere letterario da un cristiano». Il teologo anonimo fu individuato dagli ambienti letterari ed ecclesiastici nel Caffaro che anch’egli aveva studiato da teatino con il figlio del Boursault a Sainte-Anne. La questione sembrava riprendere in termini aggiornati l’antica controversia della liceità morale del teatro già discusso dagli scrittori e attori della Commedia antica e di quella dell’arte nel Seicento. In quel periodo invece caratterizzato dalla egemonia culturale del giansenismo pietista e rigorista si era decisamente contrari alla tesi permissivista del Caffaro che, seguendo San Tommaso D’Aquino( Summa teologica, IIa IIae, q. 168 a. 2) sosteneva l’innocenza morale delle rappresentazioni teatrali che ,a differenza di quelle dell’antichità ,non erano più né rozze e nè licenziose. Il Caffaro non frequentava i teatri ,ma ricavava la prova della sua tesi, dalla lettura personale dei testi e dalla lunga e attenta pratica del confessionale.Da questa in particolare gli risultava direttamente che non facevano male alle anime dei fedeli sino al punto che persino vescovi, cardinali e nunzi del Papa vi assistono a corte senza essere nè empi né libertini. Per il Caffaro “il teatro” appariva un divertimento sostanzialmente sobrio e lecito.

Senonché in polemica contro questa tesi del Caffaro scese in campo J. B. Bossuet (cfr. Correspondance, VI, Paris 1912, pp. 257-285, 291-295) ,grande apologeta e sostenitore di una tradizionale formazione spiritualista,che illustrò le stesse ragioni poi nelle sue Maximes sur la comedie.Bossuet dichiarava che ormai un linguaggio licenzioso e sottilmente osceno, «trasmette disvalori e passioni dannose per l’anima sotto un aspetto piacevole» in forma di sorriso, di divertimento e di applauso. Una vita austera era da preferire agli ammiccamenti pervertivi della Commedia.

Secondo Bossuet la prova della pericolosità della Commedia era anche data dal fatto che anche il grande Racine aveva smesso di scrivere per il teatro. Egli chiede a p. Caffaro di disconoscere la paternità della Lettres e avrebbe smesso la polemica con lui (cfr. Lettre au P. Caffaro, 9 maggio 1694, in Corrispondance, cit. pp. 256-257). Con prontezza e sincerità di intenti e di buona fede e di il Caffaro si affidò alla cultura e allo spirito di comprensione di Bossuet e fece una sostanziale e dignitosa ritrattazione. Chiarì che riconosceva in qualche idea, esposta undici o dodici anni prima ,alcune sue convinzioni che erano state usate senza prudenza e assennatezza da qualcuno,che ignorava la natura di quelle proposizioni che non erano destinate alla pubblicazione. In sostanza alla fine la polemica ,invece di spegnersi, si infiammò e come un venticello si diffuse fra i letterati e gli ecclesiastici e la” Lettre “incriminata fu anche tradotta in inglese insieme alle Maximes del Bossuet. Il padre Caffaro scrisse allora anche all’arcivescovo di Parigi, mons. Harlay de Champvallon,protestando la sua ortodossia e la sua attività coerente e pura di insegnamento corretto filosofico, teologico e letterario. Gli fu però tolto il posto di professore che egli riebbe successivamente, solo quando, dopo essere ritornato nell’ombra, poté avere l’aiuto del vescovo di Mirepoix, Mrs. Francois Boyer, suo discepolo, divenuto ora precettore del Delfino.

Il Caffaro continuò a insegnare e a scrivere circa una trentina di trattati di filosofia e teologia secondo il De Tracy, rimasti inediti e andati ormai perduti.

Come ha scritto A. Beljame (cf. Public et les hommes e lettres en Angleterre au dix-hutieme siecle: 1660-1744, Paris, Hachette 1881, p. 256) posizioni culturali e morali simili si possono trovare fra gli scrittori inglesi, anglicani e cattolici, ma è stato Guglielmo III a rimuovere con insistenza gli ordini dati da lui stesso nel 1697 di sopprimere solo des pièces de théàtre les passages irreligieux ou immoraux.

Il teatino siciliano, padre Francesco Caffaro ,sul piano dottrinale fu riconosciuto ortodosso e un corretto seguace tomista anche da De Bossuet (cit. p. 258-259) ma solo per motivi di disorientamento pastorale era stato allontanato dall’insegnamento e dal confessionale. Il padre teatino messinese testimoniò con dignità e coerenza cristiana la sua onestà intellettuale e ortodossia dogmatica nella Parigi della Controriforma in una frontiera delicata come quella del rapporto tra Fede ed Arte,tra autonomia e collaborazione culturale e spirituale tra queste forme di vita spirituale in tempi oggettivamente difficili,

Fu egli, quindi, un serio, coerente e prudente innovatore ma anche una vittima innocente della durezza apologetica, sorda e preventiva della politica ecclesiastica e della pastorale della Chiesa Cattolica nell’Europa del Seicento.


Autore

"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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