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Pubblicato il 29 Marzo 2016 | di Redazione

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Le bugie del governo sul referendum trivellazioni

Nella  vostra campagna per il referendum trivelle avete indicato sette buone ragioni per votare si, quali sono ?

  1. Il tempo delle fonti fossili è scaduto: in Italia il nostro Governo deve investire da subito su un modello energetico pulito, rinnovabile, distribuito e democratico, già affermato nei Paesi più avanzati e innovati del nostro Pianeta.
  1. Le ricerche di petrolio e gas mettono a rischio i nostri mari e non danno alcun beneficio durevole al Paese. Tutto il petrolio presente nei fondali del mare italiano basterebbe a coprire solo 7 settimane di fabbisogno energetico, e quelle di gas appena 6 mesi.
  1. L’estrazione di idrocarburi è un’attività inquinante, con un impatto rilevante sull’ambiente e sull’ecosistema marino. Anche le fasi di ricerca utilizzando la tecnica dell’airgun (esplosioni di aria compressa), hanno effetti devastanti per l’habitat e la fauna marina.
  1. In un sistema chiuso come il mar Mediterraneo un eventuale incidente sarebbe disastroso e l’intervento umano è pressoché inutile, come dimostra l’incidente avvenuto nel 2010 nel Golfo del Messico alla piattaforma Deepwater Horizon che ha provocato il più grave inquinamento da petrolio mai registrato nelle acque degli Stati Uniti.
  1. Trivellare il nostro mare è un affare per i soli petrolieri, che in Italia trovano le condizioni economiche tra le più vantaggiose al mondo. Il “petrolio” degli italiani è ben altro: turismo, pesca, produzioni alimentari di qualità, biodiversità, innovazione industriale ed energie alternative.
  1. Oggi l’Italia produce più del 40% della sua energia da fonti rinnovabili, con 60mila addetti tra diretti e indiretti, e una ricaduta economica di 6 miliardi di euro.
  1. Alla Conferenza ONU sul Clima tenutasi a Parigi lo scorso dicembre, l’Italia – insieme ad altri 194 paesi – ha sottoscritto uno storico impegno a contenere la febbre della Terra entro 1,5 gradi centigradi, perseguendo con chiarezza e decisione l’abbandono dell’utilizzo delle fonti fossili. Fermare le trivelle vuol dire essere coerenti con questo impegno.

E’ vero che se vincesse il “sì” si perderebbero moltissimi posti di lavoro? NO

La vittoria del “Sì” non farebbe perdere alcun posto di lavoro: neppure uno.

Un esito positivo del referendum farebbe cessare le attività petrolifere progressivamente secondo la

naturale scadenza contratta al momento del rilascio della concessione. La norma è stata approvata successivamente al permesso di estrazione, quindi tutti sapevano che la durata sarebbe stata di trent’anni con la possibilità di un’ulteriore proroga per un massimo di 20 anni.

Al contrario puntare su un sistema energetico diffuso e sostenibile potrebbe portare alla nascita di decine di migliaia di nuovi posti di lavoro. Già oggi gli occupati nel settore delle fonti rinnovabili sono maggiori di quelli del mondo Fiat, con oltre 65mila unità. Se si decidesse di puntare sullo sviluppo di queste tecnologie i posti di lavoro potrebbero arrivate a 800mila, 200 nel mondo delle fonti rinnovabili e 400mila in quello dell’efficienza energetica.

E’ vero che con il petrolio estratto risolveremmo i problemi di approvvigionamento del petrolio e del gas ? NO

Le riserve su cui punta il Governo non sono in alcun modo direttamente collegate al soddisfacimento del fabbisogno energetico nazionale.

Qualora lo fossero le riserve certe presenti sotto il mare italiano sarebbero in grado di soddisfare il fabbisogno energetico del nostro Paese per 7 settimane per il petrolio e 6 mesi per il gas.

Gli idrocarburi presenti in Italia appartengono al patrimonio dello Stato, ma lo Stato attraverso le concessioni lo cede in realtà alle società petrolifere. Saranno queste poi a deciderne la destinazione finale, con la possibilità naturalmente di rivenderlo allo Stato italiano

Inoltre sono diversi i sussidi indiretti e gli sconti applicati a coloro che sfruttano le risorse fossili nel territorio italiano. A partire proprio dalle royalties irrisorie – pari al 10% per la terraferma e il 7% per il petrolio in mare – che rendono le estrazioni petrolifere estremamente vantaggiose, e a dirlo sono le stesse compagnie petrolifere che vengono in Italia ad estrarre combustibili fossili e inquinanti.

In base alle leggi italiane, infatti, sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, le prime 50 mila tonnellate di petrolio prodotte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi standard di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi standard in mare. Addirittura gratis, cioè esentate dal pagamento di qualsiasi aliquota, le produzioni in regime di permesso di ricerca.

Per far capire i vantaggi per chi trivella in Italia bisogna confrontare la situazione italiana con quella di altri Paesi europei. Se in Italia avessimo portato le royalties al 50%, nel 2014 ci saremmo trovati invece che con un gettito di 401,9 milioni di euro circa con uno da 1,9 miliardi. Stiamo parlando, è bene ribadirlo, della tassazione su risorse che sono nel sottosuolo e che in ogni Paese sono sottoposte a specifica concessione e prelievo. Dunque un prelievo fiscale diverso da quello che riguarda le imprese. Per esempio, in Danimarca dove non esistono più royalties ma si applica un prelievo fiscale totale per le attività di esplorazione e produzione, questa arriva fino al 77%. In Inghilterra può arrivare fino all’82% mentre in Norvegia è al 78% a cui però bisogna aggiungere dei canoni di concessione.

Senza dimenticare la beffa, sempre in tema di royalties, che quanto dovuto alle Regioni viene dedotto dalle tasse da parte delle imprese.

Legambiente  propone di sviluppare le fonti rinnovabili, ma un  futuro 100% rinnovabile e’ possibile? SI

La lunga crisi e la straordinaria spinta delle fonti rinnovabili di questi anni hanno cambiato il sistema energetico italiano in una dimensione che nessuno avrebbe potuto immaginare! Infatti mentre negli ultimi 10 anni i consumi energetici calavano del 2,3% e la produzione termoelettrica scendeva del 34,2% le fonti rinnovabili crescevano arrivando a coprire il 40% del fabbisogno elettrico nazionale. Non solo ma nel 2014 l’Italia è stato il primo Paese al mondo per incidenza del solare rispetto ai consumi elettrici.

+ Una riflessione per approfondire...
Sul referendum del prossimo 17 aprile, il fronte del no e dell’astensione continua a mettere in giro dati e ragionamenti falsi e fuorvianti che nascondono il vero cuore del problema e l’oggetto della consultazione referendaria. Tutti sull’attenti a difendere le fonti fossili strumentalizzando il vero tema e non difendendo realmente gli interessi dei cittadini e dei lavoratori. Nessuno dice con chiarezza che il quesito referendario ha l’obiettivo di cancellare un vero e proprio condono fatto con la modifica normativa voluta dal governo Renzi a dicembre 2015, che consente alle società petrolifere, che hanno titoli abilitativi entro le dodici miglia marine, di continuare a ricercare ed estrarre idrocarburi (gas e/o petrolio) a tempo indeterminato. Prima di questa modifica le regole erano ben diverse e tutte le concessioni avevano una scadenza concordata all’atto della firma. Come d’altra parte dispone la norma ogni qual volta che si dà in uso, ad una società privata, un bene di proprietà dello stato, che si tratti di idrocarburi, acqua, spiagge o suolo. E come si prevede nel caso delle piattaforme petrolifere e dei permessi di ricerca oltre le dodici miglia marine o sulla terraferma. Ebbene sì, perché mentre il Governo con una mano concedeva questo grande privilegio alle società che operano entro le dodici miglia, con l’altra approvava un emendamento che stabilisce una scadenza precisa per tutte le altre concessioni di estrazione e i permessi di ricerca. Non solo ma che le concessioni debbano avere una scadenza è una regola comunitaria, ribadita anche dalla Corte di Cassazione e Costituzionale, che, dichiarando ammissibile il quesito referendario, hanno ribadito che “la norma voluta dal Governo ha introdotto una modificazione della durata dei titoli abilitativi già rilasciati, commisurandola al periodo di “vita utile del giacimento”. Nessuno sta chiedendo ai cittadini di fare a meno del gas a partire dal 18 aprile e nessuno sta chiedendo ai lavoratori di scendere dalle piattaforme almeno fino alla fine della concessione così come concordato al momento della firma, dalle società per cui lavorano. Nessuno sta chiedendo infine di spegnere e smontare piattaforme. A meno che non sia terminata la concessione, nel tal caso è la norma stessa a stabilirlo, giustamente. Così come non stiamo intaccando nessuna risorsa strategica e necessaria ai nostri fabbisogni. Non sarà il referendum a mettere a rischio i posti di lavoro, ma una politica cieca che non sa guardare al futuro. Basta dare un’occhiata sui giornali per scoprire che secondo l’ultimo rapporto della società di consulenza Deloitte, il 35% delle compagnie petrolifere a causa del prezzo del petrolio è ad alto rischio di fallimento nel 2016, con un debito accumulato complessivamente di 150 miliardi di dollari. Non dimentichiamoci che nel mondo le fonti fossili continuano ad essere sussidiate, con risorse degli Stati, con oltre 5 mila miliardi di dollari e nel nostro Paese i sussidi diretti e indiretti sono pari a 14 miliardi di euro. Il basso prezzo del petrolio unito ad una scarsa risorsa petrolifera fa abbandonare il campo, è questo che ci sta raccontando la storia. E’ il caso della Shell, Gdf Suez e la danese Dong Energy in Antartico, ma anche la OMV e la Marathon Oil in Croazia che a pochi giorni dalla firma del contratto hanno rinunciato alla concessione. Abbandono dei progetti, risorse sempre più difficili da trovare e costose, riduzione drastica del prezzo del petrolio, riduzione dei consumi e anche le più grandi compagnie petrolifere come la Shlumberger entrano in crisi, annunciando poche settimane fa il licenziamento di 9mila dipendenti o ancora la Backer Hughes che ne lascerà a casa 7mila. Dare la colpa di tutto questo agli ambientalisti è sbagliato oltre che fuorviante. Tutto questo mentre in Europa i posti di lavoro nel settore delle rinnovabili sono oltre 1 milione, in Italia nonostante il blocco delle rinnovabili e la perdita di oltre 10mila posti di lavoro, oggi gli addetti al settore sono 70mila , e negli Stati Uniti gli impiegati nel solare sono di più di quelli delle compagnie petrolifere. In un Paese, dove il calo dei consumi di gas nei soli ultimi 10 anni è stato del 22% e del 33% per il petrolio, mentre le fonti rinnovabili hanno raggiunto nel 2014 il 40% di copertura elettrica del nostro fabbisogno nazionale e il 17% di quello primario. Appare evidente che di fronte a questi numeri, il contributo delle attività entro le dodici miglia, pari al 3% dei nostri consumi di gas e meno dell’1% di petrolio, risultano alquanto inutili ai nostri fini energetici. Se vince il sì, sono queste le risorse di gas e di petrolio che smetteremo di far produrre alle compagnie petrolifere. Un contributo che è abbondantemente compensato dal calo dei consumi in atto da diversi anni. Se poi entriamo nel dettaglio della produzione nazionale scopriamo che non solo i consumi di gas in questi ultimi 10 anni sono diminuiti, ma anche la produzione nazionale si è ridotta del 43%. Non solo ma già oggi il nostro potenziale giornaliero di importazione è pari a 296,6 milioni di metri cubi da gasdotti a cui si aggiungono 54,4 milioni di metri cubi da rigassificatori, per una stima complessiva annuale di 127mila milioni di Smc di gas annui. Quasi il doppio di quanto consumato dal nostro Paese. Naturalmente le importazioni di gas, non funzionano in maniera così automatica come una semplice operazione matematica, ma questo dimostra ancora una volta come la “transizione” necessaria per arrivare quanto prima al nuovo scenario basato su fonti energetiche pulite e rinnovabili sia più che garantito, a prescindere dalle piattaforme presenti nel nostro mare. Senza dimenticare che uno tre rigassifficatori presenti nel nostro Paese non solo non è mai partito, proprio a causa dei bassi consumi, ma rischiamo anche di pagarlo in bolletta. E non è vero che se non trivelliamo noi, trivelleranno gli altri. La Croazia ha appena firmato una moratoria contro ogni nuova trivellazione. E’ il nostro Paese ad avere 35 concessioni di coltivazioni di idrocarburi in Adriatico, di cui 26 produttive con 463 pozzi, contro le 9 concessioni della Croazia. Senza contare la beffa che queste risorse sono bene dello Stato finché la società petrolifera non ottiene la concessione. E’ la stessa società che poi ne decide la destinazione finale. A questo si aggiungono i diversi i sussidi indiretti e gli sconti applicati a coloro che sfruttano le risorse fossili nel territorio italiano. A partire dalle royalties irrisorie – pari al 10% per la terraferma e il 7% per quelle in mare – che rendono le estrazioni petrolifere estremamente vantaggiose, e a dirlo sono le stesse compagnie petrolifere che vengono in Italia ad estrarre combustibili fossili e inquinanti. Senza contare che la normativa italiana prevede per il petrolio che le prime 20mila tonnellate estratte in terraferma e le prime 50mila tonnellate estratte in mare siano esenti dal pagamento di aliquote. Stesso discorso vale per i primi 25milioni di Smc di gas estratti in terra e i primi 80milioni estratti in mare. Addirittura gratis le produzioni in regime di permesso di ricerca. A questo aggiungiamoci le detrazioni che le compagnie hanno sulle royalties versate alle Regioni, i danni ambientali, di inquinamento ben raccontati da Greenpeace ma anche quelli di subsidenza che nella riviera romagnola hanno portato a danni per 1,3 miliardi di euro a fronte di 7,5 milioni di entrate dalle royalties! Davvero pensiamo che abbiamo bisogno di tutto questo gas? che dobbiamo per forza e necessariamente spendere tra i 1.500 e i 2.000 euro di gas l’anno per soddisfare le nostre necessità di riscaldamento, cucina e acqua calda? Basterebbe che il Governo decidesse di investire tempo, risorse e politiche in efficienza energetica e nello sviluppo delle fonti rinnovabili con una forte attenzione all’ambito urbano. Dove per ridurre drasticamente i consumi e quindi le importazioni di gas, petrolio e carbone, basterebbe permettere ai cittadini di auto prodursi l’energia e scambiarsela tra vicini. Basterebbe incentivare e incrementare l’efficienza energetica in edilizia per permettere a tutti noi di non vivere in case colabrodo che disperdono la maggior parte dell’energia termica che produciamo bruciando gas. Basterebbe investire in efficienza soddisfacendo quel po’ di calore che serve scegliendo tra solare termico, pompe di calore, caldaie a pellets… O addirittura usare sistemi elettrici alimentato da un pannello solare fotovoltaico per gli usi cucina puntare sul biometano.

 

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"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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