Vita Cristiana

Pubblicato il 26 Aprile 2016 | di Redazione

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La Laudato sì e gli animali da compagnia

Quando mi hanno chiesto di scrivere un articolo sul mondo della zootecnia alla luce della Laudato Si’, subito e inconsciamente ho risposto “perché non farne uno sugli animali da compagnia?”.  La proposta è stata accettata. Pochi minuti dopo, raffreddata l’incoscienza frutto di fluttuanti pensieri, rimanevano in me solo i dubbi su che cosa scrivere.

Cercando rifugio nella Parola di Dio, fui richiamato all’ordine dalla frase “non garantire oltre la tua possibilità; se hai garantito, preoccupati di soddisfare” (Sir 8,13). Presi quindi la Laudato Si’, armato di matita, ed ecco un testo che vuole aiutare a riflettere sugli aspetti ecologici dell’industria degli alimenti per animali da compagnia (petfood), sul potenziale egoismo del rapporto degli uomini con i quattro zampe, in contrasto alla serena armonia col creato (225).

Il comparto industriale per la produzione di petfood è eco-sostenibile: ricicla, recupera e valorizza ciò che il legislatore europeo e il nostro palato hanno relegato a scarto alimentare da circa vent’anni.

È impossibile sintetizzare in un paragrafo la normativa alimentare, ma è utile sapere che essa si è sviluppata a partire dall’evento “mucca pazza”: evento microscopico e perfettamente risolto dal punto di vista tecnico e scientifico, evento macroscopico e delirante dal punto di vista mediatico e sociale.

Le norme UE sono positive per l’armonizzazione e la sicurezza alimentare dei vari Stati membri, ma talvolta sono prive di senso logico e pratico, e in taluni casi impongono soluzioni contro-natura e profondamente populiste: è il caso del divieto, ancora attuale, di utilizzo di farine di carne anche per animali che sono per natura onnivori (p.e. i maiali). Si potrebbe facilmente concludere con la riduzione del consumo di carni, magari!

Il sistema alimentare è altamente complesso, le bocche da sfamare sono miliardi, la concentrazione energetica degli alimenti sarebbe fondamentale, non sarebbe poi da sottovalutare la terza legge della termodinamica, e via dicendo. Insomma, niente soluzioni facili. Quindi, a causa dell’improvviso buco nel mercato zootecnico e della scomparsa del consumo di taluni tagli e porzioni di animale da carne, oggi il proverbio “del maiale non si butta niente” ha senso solo se invitiamo a tavola cani e gatti.

Sono nate quindi, agli inizi del 2000, nuove realtà imprenditoriali e indotti lavorativi. Cui prodest? Sicuramente a cani e gatti! L’enciclica parla di un sistema industriale che non ha ancora saputo riutilizzare rifiuti e scorie (22), ma non è questo il caso. Il comparto industriale petfood vive di scarti dell’uomo per creare valore alimentare di alto pregio. La paura che nasce dal non conoscere e la diffusa fobia verso l’industria possono farlo sembrare assurdo, ma l’aumentato benessere degli animali da compagnia è dovuto principalmente all’aumento dell’uso di alimenti pronti.

Nel 1989 importanti ricercatori del settore già dicevano “pets get better diet than their owners” (gli animali domestici hanno una migliore dieta rispetto ai loro padroni). Oso dire che chiamare “scarti” la carne che noi rifiutiamo è come rubare alla mensa del povero (50).

L’elevata qualità nutrizionale e i trattamenti fisici di lavorazione creano invece ingredienti da derivati animali di altissimo pregio. Sia chiaro, come ogni realtà produttiva di massa, esiste petfood di qualità differenti, e scegliere non è semplice, ma etichette, prezzo, corretta informazione e i veterinari possono dare una mano.

Quindi, oltre ad essere ecologica, questa nuova realtà economica “cura” cani e gatti. Ed è la cura ad aprire le dolenti note sulle relazioni corrette (70) così come le indica il Santo Padre. La dolente nota si chiama “umanizzazione”.

Il termine “humanization of pet” indica la tendenza, più o meno conscia, del proprietario a considerare il proprio animale domestico come un vero e proprio essere umano. Le enormi conoscenze scientifiche nei settori nutrizionali, alimentari e farmaceutici da tempo assecondano questo sentimento. Il proprietario si comporta da persona profondamente responsabile del proprio animale, con l’aggravio di non poter sperimentare su se stesso ciò che sceglie per il benessere altrui. Il profilo psicologico e l’enorme bisogno di informazione che ne scaturiscono sono terreno fertile per il marketing: se da un lato gli alimenti contengono nutrienti appositamente studiati ed efficaci per il benessere animale, il marketing coglie ogni nicchia, e sapientemente soddisfa primarie e secondarie esigenze.

Potrebbe sembrare immediato un collegamento con il meccanismo del consumo compulsivo (203) generato dal mercato, ma invito a riflettere su quanto la Laudato Si’ ci ricorda tramite il Catechismo: ogni creatura ha la sua propria bontà e la sua propria perfezione […] le varie creature, volute nel loro proprio essere, riflettono, ognuna a suo modo, un raggio dell’infinita sapienza e bontà di Dio. Per questo l’uomo deve rispettare la bontà propria di ogni creatura, per evitare un uso disordinato delle cose (69).

La responsabilità verso il proprio animale deve allora necessariamente includere il rispetto, altrimenti l’essere umano pone se stesso al centro, finisce per dare priorità assoluta ai suoi interessi contingenti, e tutto il resto diventa relativo (122).

Pur non generalizzando, il mercato e il consumatore si incontrano in soluzioni che non rispettano la bontà propria della creatura (per esempio alimenti vegani, abiti e trucchi). La cura, la protezione e la custodia del proprio animale ci rendono partecipi del creato solo quando ne comprendiamo la perfezione e ne ammiriamo il bello. Attenzione quindi nel trasferire se stessi all’animale, si rischia di imporre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi (75).

Le argomentazioni etiche sul cannibalismo valutate nelle attuali discussioni sulla re-introduzione delle farine di carne per l’alimentazione di animali da reddito onnivori (è inteso che resta il divieto per erbivori), sono un altro esempio della volontà di imporre la nostra visione al creato. Tra l’altro, quale nostra visione? Dell’uomo tutto, o solo quello occidentale? Anche in questo caso le parole dell’enciclica sono illuminanti: neppure la nozione di qualità della vita si può imporre, ma dev’essere compresa all’interno del mondo di simboli e consuetudini propri di ciascun gruppo umano (144).

Le incomprensioni tra gli uomini sono alla base di una drammatica deriva, quella del biocentrismo (118), dove c’è disprezzo per l’uomo e amore incondizionato per gli animali o la natura. L’enciclica ci invita ad avere il cuore veramente aperto a una comunione universale, dove niente e nessuno è escluso da tale fraternità (92). Non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani (91). È preoccupante il fatto che alcuni movimenti ecologisti radicali difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione reclamino limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applichino gli stessi principi alla vita umana (136).

Cogliendo l’appello a recuperare la profondità della vita (113) contro la rapidación (18), è bello pensare che il rapporto con il proprio animale domestico sia fondato sul concetto di “austerità responsabile” (213), sulla semplicità che permette di fermarci a gustare le piccole cose, […] e che non sia bene …..rattristarci per ciò che non possediamo (222).

E infine, pur se la sobrietà e l’umiltà non hanno goduto nell’ultimo secolo di una positiva considerazione (224), mi piace concludere con una citazione tratta dalla preghiera che il Papa ci ha donato:
“Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa,
a contemplare con stupore,
a riconoscere che siamo profondamente uniti
con tutte le creature
nel nostro cammino verso la tua luce infinita”.

Marco Battaglia

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"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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