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Pubblicato il 22 Settembre 2016 | di Agenzia Sir

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Beatificazione di Rosario Livatino: martire della giustizia

Sono trascorsi 26 anni, è già stato aperto il processo per la sua beatificazione. Rosario Livatino è stato un magistrato siciliano assassinato dalla Stidda, nasce a Canicattì nel 1952, figlio dell’avvocato Vincenzo e di Rosalia Corbo. Conseguita la maturità presso il liceo giudice_rosario_livatinoclassico Ugo Foscolo, dove si impegna nell’Azione Cattolica, nel 1971 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Palermo presso la quale si laurea nel 1975 cum laude. Nel 1978, dopo essersi classificato tra i primi in graduatoria nel concorso per uditore giudiziario, entra in magistratura presso il Tribunale di Caltanissetta.
Nel 1979 diviene sostituto procuratore presso il tribunale di Agrigento e ricopre la carica fino al 1989, quando assume il ruolo di giudice a latere (sarà chiamato il giudice ragazzino).

Viene assassinato il 21 settembre del 1990 sulla strada mentre si recava, senza scorta, in tribunale, per mano di quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina, organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa nostra. Del delitto è testimone oculare Pietro Nava, sulla base delle cui dichiarazioni sono stati individuati gli esecutori dell’omicidio.
Nella sua attività si è occupato di quella che sarebbe esplosa come la Tangentopoli siciliana mettendo a segno numerosi colpi nei confronti della mafia, attraverso lo strumento della confisca dei beni.

Papa Giovanni Paolo II lo definisce “martire della giustizia e indirettamente della fede”. Nel 1993 l’arcivescovo di Catania Luigi Bommarito, già vescovo di Agrigento, ha incaricato Ida Abate, che del giudice fu insegnante, di raccogliere testimonianze per la causa di beatificazione.
Il 19 luglio 2011 è stato firmato dall’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, il decreto per l’avvio del processo diocesano di beatificazione, aperto ufficialmente il 21 settembre 2011 nella chiesa di San Domenico di Canicattì.
Di lui si è occupato con impegno e trasporto Bruno Giordano magistrato presso la Corte di Cassazione, che ricorda i momenti salienti della sua vita, come ad esempio le sue ultime parole: era il 21 settembre 1990, “Che vi ho fatto?”, dice guardando in faccia quattro giovani inviati dalla Stidda per eliminare un giudice che faceva semplicemente il suo dovere, senza protagonismo alcuno.images

Rosario Livatino alla Procura di Agrigento ha condotto le indagini sugli interessi economici della mafia, sulla guerra di mafia a Palma di Montechiaro, sull’intreccio tra mafia e affari, delineando il “sistema della corruzione”, che con la mafia condivide arroganza e vessazione.
Significativo un passo di un discorso pronunciato da Rosario Livatino il 7 aprile 1984: “La magistratura, per restare ancora fedele al dovere costituzionale di fedeltà alla legge, altro non cerca, anche per evitare ondeggiamenti, incertezze ed ulteriori ingiusti rimproveri, che di poter disporre di dettati normativi coerenti, chiari, sicuramente intelligibili, nonché di testi negoziali nei quali la posizione di diritto e di obbligo delle parti non sia offuscata da una trama tormentata di sottili e complicate espressioni verbali, che nascondono premesse politiche tutt’altro che chiare anziché una precisa volontà che sostenga il precetto. Fin quando tutto questo non sarà assicurato dal nostro legislatore e dalle parti sociali in sede di contrattazione, sarà ineliminabile che il giudice di Pordenone ed il giudice di Ragusa, con gli abissi di cultura e dei substrati territoriali, sociali ed economici nei quali si trovano ad operare, cerchino di districarsi nella perigliosa giungla di queste regolamentazioni adoperando dei machete interpretativi tra loro dissimili o addirittura contraddittori.”
Forse qualcuno ha dimenticato troppo presto queste parole.

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