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Pubblicato il 21 Ottobre 2016 | di Giuseppe Nativo

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Compiti a casa o studio in classe? Le nuove frontiere della scuola

Tanti i dibattiti volti a riflettere sul peso e il valore dei compiti per casa lasciati dai docenti. Il tema, però, va sviluppato ed è applicabile non solo alla scuola, ma anche all’università, al lavoro, alla vita, alle relazioni. La questione, però, non è tanto sui compiti quanto sul farli bene in qualunque contesto.

Si può discutere sulla mole del lavoro assegnato a casa, sulla possibilità di evitare gli eccessi, sulla mancanza di guide che insegnino come si fanno i compiti, ma anche sull’incapacità di concentrarsi su qualcosa a lungo, sul tempo dedicato, sull’agenda quotidiana stracolma di attività che possiede un ragazzino di circa dieci anni.

Allora i compiti a casa sì o no? Abbiamo girato il quesito a Giuseppe Palazzolo, dirigente scolastico della direzione didattica “Mariele Ventre” di Ragusa.

«È un argomento complesso ed è necessario operare una serie di distinzioni: fasce di età, tipologia dei compiti, periodo (scolastico o vacanze?), discipline. Non credo che ci sia una risposta secca, anche se si possono fare delle considerazioni, sia pure molto generali. I compiti a casa, in funzione di verifica e consolidamento del lavoro svolto la mattina, a scuola, hanno sicuramente una funzione positiva, se pensiamo agli alunni della scuola primaria, all’acquisizione di più sicure abilità di scrittura e calcolo. È vero che in alcuni Paesi nord europei, con ottimi esiti scolastici, tutto il lavoro si svolge a scuola, ma si tratta di una realtà, anche socio-culturale, molto diversa. In Italia ci sono stati periodi storici nei quali i compiti a casa avevano un peso essenziale, talora indispensabile per completare il lavoro in classe. Chiaramente, gli alunni le cui famiglie, direttamente o indirettamente, potevano aiutare i figli a studiare a casa, ottenevano migliori risultati degli altri, anche se ciò comportava una ingiusta selezione sociale».

La tendenza adesso è cambiata?

«Oggi la tendenza è nettamente cambiata, anche se, a mio avviso, man mano che i ragazzi crescono, diventa più utile per loro avere dei momenti di riflessione, approfondimento e ricerca rispetto a quanto appreso in classe. È soprattutto sul metodo di studio che i docenti debbono lavorare molto, affinché gli studenti possano organizzarsi autonomamente il loro lavoro a casa, dando una certa libertà di scelta».

Ha un ricordo giovanile da alunno?

«Mi viene in mente un ricordo da studente liceale di quinto anno. Il professore di filosofia era molto giovane e, fin dal primo giorno, mise in chiaro che lui compiti a casa non ne avrebbe dati per niente. Noi eravamo smarriti, cosa avremmo studiato a casa? Alla nostra richiesta, il professore ci rispose che, se avevamo interesse per qualche argomento o autore, lui avrebbe dato a ciascuno una bibliografia essenziale, per consentirgli di conoscere ed approfondire direttamente dai testi la materia ed, eventualmente, comunicare ai compagni, in classe, quanto aveva appreso. Metodi d’avanguardia, per quegli anni…».

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Autore

Pubblicista. Appassionato di storia locale. Nel 2004 ha pubblicato un libro sulla Inquisizione in Sicilia nel XVI secolo, con particolare riferimento alla Contea di Modica. Collabora a diverse testate cartacee e on line.



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