Pubblicato il 29 Dicembre 2016 | di Giuseppe Nativo
0Un’arte tra ricordi e tradizione con al centro la Sacra Famiglia
Superato il cosiddetto periodo dei “morti” ci si preparava a superare quel “periodo di mezzo”, antecedente a quello pre-natalizio, introdotto dal “novenario” dell’Immacolata. Era il periodo più bello in quanto si era catapultati, con la sana ed ingenua dolcezza di una volta, in un’atmosfera festiva il cui prologo era la consueta preparazione del presepe. Era come pianificare un’opera d’arte. Dal muschio ai ruscelli, dalle montagne agli sterrati e tortuosi sentieri, dalle capanne e botteghe alle statuette da disporre in modo spontaneo ma nella giusta postazione in base alle attività professionali rappresentate, non sempre fedeli ai luoghi e al tempo che vedevano la nascita di Gesù. Tutto doveva avere un ordine quasi pre-costituito. Gli ultimi ritocchi erano fatti sistemando le luci intermittenti in modo tale da far entrare ciascuna “lucetta” in ogni casupola o grotta. I pastori, rappresentanti del ceto più semplice nonché destinatari privilegiati della buona novella, erano i protagonisti assoluti dopo, naturalmente, la “sacra famiglia” collocata, per consuetudine, in compagnia del bue e l’asinello. A cornice di tale impianto scenico – studiato fin nei minimi particolari dalla nonna – erano talora posti, quasi a delimitare i confini della zona presepe, un cospicuo numero di cioccolatini dalle variegate forme, colori e sapori.
L’apertura iniziale della scatola contenente i pezzi da disporre costituiva quasi un piacevole rito a cui nessuno della famiglia si sottraeva per la possibilità non solo di carpire i segreti della preparazione ma anche per dare eventuali suggerimenti e/o diventare promotore per l’acquisto di nuovi “personaggi”. Tutto si svolgeva con i tempi dovuti e necessari per la messa in opera di tutti i pezzi. Non potevano mancare “u ricuttaru”, “u furnaru”, “u cacciaturi” (il rivenditore di ricotta; il fornaio; il cacciatore). Ma anche pastorelli identificabili per l’atteggiamento: “u spavintatu” (chi prova spavento), l’arrotino, il barbiere e colui il quale ripara i piatti rotti. Un mondo a sé, ricreato in spazi angusti o che poteva occupare intere stanze della casa. Oggi di quel mondo, forse, è rimasto poco. Eppure resiste la tradizione dei presepi, in particolare laddove è forte il legame con le tradizioni.