Pubblicato il 11 Gennaio 2017 | di Redazione
0L’arte di Guccione e le beatitudini
Pur vivendo da liceale a Ragusa, ho conosciuto l’arte di Piero Guccione quando mi ritrovai tra le mani un prezioso catalogo, “La sera del settimo giorno”, che esponeva le sue opere insieme a quelle di Süphan Barzani (pseudonimo usato da Franco Battiato quando dipinge). Con meraviglia venni a conoscenza del fatto che questo prezioso catalogo, stampato solo in 1000 copie e con i preziosi contributi di Bufalino, Mandel e Testori, era stato donato (con una bella dedica) a mio fratello Alessandro proprio dal grande Maestro. Infatti, non sapevo che quando mio fratello fu ricoverato presso l’ospedale di Ragusa per una pericardite, nella sfortuna aveva avuto la fortuna di avere come compagno di stanza il Maestro Guccione.
Le opere di Guccione scomparvero per un certo periodo dalla mia vita. Il suo nome riapparve quando da universitario, durante i miei innumerevoli soggiorni presso il Monastero di Bose, fratel Lino mi parlò più volte con entusiasmo e ammirazione delle opere di Guccione. Scoprii pure che il Priore della Comunità, Enzo Bianchi, aveva scritto parole bellissime per il grande Maestro.
Sull’arte e sulla poetica di Piero Guccione si sono espressi davvero i più grandi intellettuali del pianeta. Tuttavia, da giovane filosofo e da profano del mondo dell’arte, cercherò di dire cosa mi colpisce essenzialmente dei suoi dipinti più noti.
Di fronte a una tela di Guccione lo spettatore non è chiamato a imprimere un semplice sguardo di attenzione, ma si trova dinamicamente immerso in una visione che lo inserisce in una profondità contemplativa. Quella luce chiara e pacificata e quei colori delicati che procedono dai suoi dipinti, invitano la mente a perdersi in un viaggio spirituale. Ma è un’estasi che, dopo la contemplazione pura, porta pure alla riflessione su ciò che si è ammirato con stupore. Ciò che mi colpisce tremendamente è il punto indecifrabile in cui sembra sparire la distinzione tra mare e cielo. L’arte del Maestro di Scicli ci fa pensare a una possibile fusione tra due dimensioni differenti: il mare, simbolo della vita, e il cielo, simbolo di ciò a cui la vita è chiamata dopo la morte. Ma non solo… nel punto in cui tutto si fonde, si può pensare anche a un capovolgimento: il cielo prende il posto del mare e viceversa. Ecco che guardando i dipinti di Guccione, non posso non pensare alla logica del capovolgimento che è contenuta nel famoso discorso della montagna pronunciato da Gesù. In sintesi: “beati coloro che piangono perché saranno consolati” (cfr. Mt 5,4). Così, dopo la fatica del concetto che cerca di definire l’infinito, subentrano di nuovo la contemplazione e l’estasi. In questa dinamica circolare e mistica che coinvolge lo spirito dell’uomo, allo spettatore resta sicuramente impressa nel cuore la viva speranza di un futuro migliore. La stessa speranza contro ogni speranza delle beatitudini!
la foto di Gianni Mania è tratta dal set del film “Piero Guccione” di Nunzio Massimo Nifosì