Pubblicato il 20 Gennaio 2017 | di Redazione
0Aiuto umano e aiuto anonimo
Avevo trascorso la Pasqua del 2016 a Bose. Ero pronto a rientrare in aereo da Torino a Catania. Avevo molto tempo a disposizione da trascorrere a Torino Caselle. Cominciai a sfogliare un libro, ad ascoltare musica e a ricordare i giorni di pace trascorsi in monastero.
Poi arrivò lui! Un ragazzo che lavorava per una delle tante associazioni umanitarie presenti nel mondo, mi fermò e cominciò a parlarmi del loro progetto e del bene che avrei fatto donando 9 euro al mese. All’inizio gli feci capire che non avevo tempo per ascoltarlo; poi, guardandolo negli occhi, intuii che era una brava persona, e allora ne approfittai per dirgli ciò che pensavo al riguardo. Però Massimo, questo era il suo nome, continuava nella sua retorica persuasiva…
Senza negare l’importanza delle associazioni umanitarie, gli spiegai che per me questo non era il modo di aiutare le persone in difficoltà. Dopo qualche minuto si avvicinò un altro ragazzo che, a differenza di Massimo, era molto più deciso, insistente e spietato: “Massimo viene qui ogni mattina presto, che cosa ti cambia se fai del bene con una piccola donazione?”. Questa frase mi irritò molto!
Capendo che lo scopo principale non era quello di aiutare qualche bambino povero del mondo, ma di assicurare lo stipendio a Massimo, lo chiamai in disparte e gli spiegai – questa volta davvero – la mia visione. Gli dissi che pure io non ero un benestante, anche se donare 9 euro al mese non mi avrebbe mandato in fallimento. Però volevo fare capire a Massimo una cosa essenziale; così gli dissi: “per ogni contratto che porti a termine, quanti soldi prendi?”. Mi disse che guadagnava molto poco.
A questo punto, con la fantasia, mi piacerebbe poter dire che la storia continuò così…
“Perfetto” dissi, “non firmerò il contratto ma ti darò 10 euro. Tu puoi decidere se farci colazione, comprarti un panino o usarli per capire fino in fondo le mie ragioni”. “Quali ragioni?” mi chiese Massimo.
Gli dissi che per aiutare qualcuno non c’era bisogno di firmare contratti, di mandare sms o di fare chissà quale azione impossibile. Bastava uscire dall’aeroporto, guardarsi intorno e vedere quanta gente bisognosa vive ogni giorno tra di noi. In più avrebbe potuto guardare negli occhi la persona che aiutava e, oltre a dare un minimo aiuto economico, con un sorriso e con un dialogo poteva dare davvero un grande aiuto umano. Massimo, anche se un pò dubbioso, accettò la sfida. Dopo mezz’ora tornò da me pieno di gioia e mi disse che gli avevo insegnato qualcosa di autentico. “Questo è quello che faccio io quando voglio dare un piccolo aiuto a qualcuno, non darmi ragione, adesso sono felice di non essere il solo a pensarla così”.
Io non so se Massimo lavora ancora a Caselle per qualche associazione umanitaria. Spero abbia trovato un lavoro economicamente più dignitoso, e spero di trovarlo anche io. In ogni caso, forse, oggi entrambi abbiamo capito che esistono esperienze concrete e umanizzanti, e aiuti che, invece, servono solo per sentirsi la coscienza pulita e non il cuore pieno di gioia!