Cultura

Pubblicato il 22 Febbraio 2017 | di Giuseppe Nativo

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Giompaolo ci svela ‘Nzunzieddu e le curiosità del carnevale ibleo

Una sfilata di maschere, colori, carri e tradizioni folkloristiche, che coinvolgono non solo il territorio ragusano ma anche tutta l’Isola. Sono i mille volti di una Sicilia carnevalesca analizzata, raccontata e immortalata con un click della macchina fotografica di Vincenzo Giompaolo, palazzolese d’origine ma ragusano d’adozione, accanito cultore di tradizioni popolari siciliane, il cui excursus narrativo-iconografico è inserito nel libro “Carnevale in Sicilia” (Baglieri Editrice, Vittoria, 2016, pp. 376).

Un viaggio dentro e fuori il momento festivo di un territorio che non dimentica ma valorizza la propria tradizione storica. Ben trentaquattro sono le tappe prese in considerazione, tra città e paesi dell’entroterra siciliano. Il volume è stato recentemente presentato in un affollatissimo Teatro della Badia da Paolo Antoci, che ha esaminato il Carnevale dal punto di vista storico-religioso, Nino Cirnigliaro che ha posto l’accento sugli aspetti socio-etno-antropologici, mentre i lavori – alla presenza dell’editore e dell’autore – sono stati coordinati da Rina Giglio Diquattro (Club Unesco di Ragusa).

Qual è la maschera tipica del Carnevale in territorio ibleo?

«Una delle maschere caratteristiche – ha spiegato Vincenzo Giompaolo – era quella dello ‘nzunzieddu, cioè del sudicio, popolare nei comuni di Monterosso Almo e Giarratana il cui costume era costituito principalmente da pelli e corna di caprone. Il termine ‘nzunzieddu (‘nzunza: grasso del porco; ‘nzunzari: sporcare, insudiciare) derivava dal fatto che i mascherati usavano tingersi il viso con del fumo e della terra. Così conciati andavano a gruppi per le vie del paese facendo un gran baccano perché muniti di grosse campane per buoi che scuotevano a più non posso».

Non manca l’aspetto culinario trattato nel libro. Quali sono i piatti tipici del Carnevale? «Primeggiano i maccheroni, fatti in casa, conditi con il ragù di cotenna di maiale; la salsiccia avvolta nella carta-paglia (a volte imbevuta di vino rosso) e arrostita nella o sulla brace, da consumare con contorno di olive nere riscaldate sulla cenere della brace. Non bisogna dimenticare i “cavatieddi” (cavatelli), rigorosamente conditi con sugo di maiale e spolverati di formaggio grattugiato».

Parlando dei dolci tipici del Carnevale si apprende che quasi tutti sono fritti. Perché?

«Ciò ha un fondamento storico-antropologico: nel passato, l’intervallo di tempo esclusivo per la macellazione dei suini era quello tra gennaio e marzo, includendo, quindi, il carnevale con conseguente abbondanza di grasso che, pertanto, risultava assai comodo ed economico per friggere i dolci del periodo, rispetto al più costoso olio di oliva».

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Autore

Pubblicista. Appassionato di storia locale. Nel 2004 ha pubblicato un libro sulla Inquisizione in Sicilia nel XVI secolo, con particolare riferimento alla Contea di Modica. Collabora a diverse testate cartacee e on line.



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