Società

Pubblicato il 26 Febbraio 2017 | di Maria Teresa Gallo

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Fondi Ue spesi senza apportare benefici

Dai pescatori raccontanti nell’opera “I Malavoglia” di Giovanni Verga a quelli reali del terzo millennio nulla sembra essere cambiato. Fame e disperazione c’erano e ci sono tuttora, seppur in forme diverse. Lo stato di crisi che vive la marineria dipende da una parte dal depauperamento ittico e dall’altra da aspetti organizzativi e strategici che fanno crollare la domanda. E quando anche quel poco di pesce che ancora si riesce a pescare, dopo tantissime ore di lavoro, rimane fino a tarda sera invenduto, la strada “obbligatoria” è di svenderlo, anche a tre euro a cassetta, ai rivenditori.

E così quella che era una delle più grandi marinerie siciliane di antica tradizione, la cui attività si tramandava da padre in figlio e riusciva a garantire occupazione o sostentamento, rischia di sparire lasciando interi nuclei familiari nella disperazione. Né c’è la possibilità, nel momento in cui decidono di consegnare le licenze alla Capitaneria di porto, di poter vendere i natanti, perché non c’è richiesta. In compenso aumentano i costi della nafta e si assottigliano agevolazioni e contributi. Per loro non ci sono sindacati e men che mai forze politiche pronte a intestarsi nuove strategie per uscire da questo stato di crisi che si trascina da troppo tempo. Sono semplicemente soli, esattamente come lo erano i pescatori di Trezza nel romanzo di Verga.

Ben due milioni di euro sono stati spesi, attraverso il Gac ibleo, per la promozione del pescato finanche all’Expo di Milano, ma senza apportare alcun beneficio concreto. Avevano chiesto un mercato attrezzato dover vendere il pesce già pulito, per attirare clienti, ma per questo i soldi non sono bastati perché si è preferito dare priorità finanche al museo del mare che, oltre ad essere sempre chiuso, non è chiaro quale valore aggiunto abbia apportato. Né si capisce che fine abbiano fatto o a chi tocca attivare quei progetti di pescicoltura per alcune specie che erano stati presentanti nel corso di un convegno svoltosi nella frazione lo scorso anno con la presenza di dirigenti dell’assessorato regionale alla pesca. E così anche quella che era l’economia trainante della frazione di Scoglitti è entrata in una crisi che appare irreversibile.

«Siamo costretti a spostarci sempre più lontano – spiega un ragazzo che ha preferito il mare anziché sfruttare il suo ancora fresco diploma di ragionere – nella speranza di trovare pesce e invece sempre più spesso ritorniamo con poche cassette che, anche se si riescono a vendere a buon prezzo, non solo non sono sufficienti a guadagnarci la giornata ma neanche a coprire spese e fatica».

Quello che chiedono non è molto, ma solo delle convenzioni a livello locale per rifornire i supermercati e le mense scolastiche e di poter avere degli spazi attrezzati al mercatino del sabato alla fiera Emaia. Insomma che si metta in atto la strategia del pesce a chilometro zero. Serve, inoltre, realizzare banconi dove esporre il pesce e vasche dove lavarlo e pulirlo. Nei giorni scorsi è stato presentato il nuovo Gac, sarebbe il caso che prima si ascoltassero i pescatori per non ricadere negli stessi errori.

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Autore

Docente di italiano e storia e giornalista pubblicista, amante dello sport.



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