Approfondimenti

Pubblicato il 17 Marzo 2017 | di Redazione

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Gregorio Palamas e la luce divina

Nello scritto Triadi in difesa dei santi esicasti, il teologo bizantino Palamas confuta le tesi del filosofo calabrese Barlaam, soffermandosi sulla natura della luce divina e spiegando in che modo sia possibile “vedere” questa luce.

Mentre per Baarlam solo la conoscenza è luce, per Palamas invece la conoscenza è luce solo se traduce sul piano della logica la Luce della manifestazione di Dio. La conoscenza in sé non è una luce, ma lo è solo se è una vera conoscenza (cioè in relazione al Creatore), così come la significazione in sé non è necessariamente portatrice di verità, ma lo è solo se diventa strumento.

Tutto ciò però non si ferma alla teologia apofatica, secondo la quale bisogna procedere verso Dio con una serie di negazioni. Per Palamas, il punto più alto della conoscenza è la teologia apocalittica. Con la teologia apofatica si trovano “visioni” sul lògos e l’intelletto (si resta nell’ambito del mentale), invece, con la teologia apocalittica o soprarazionale si partecipa alle cose divine con tutto se stessi. Quindi è la luce divina a “distribuire”, e non solo sul piano della conoscenza, ma anche su quello dell’esperienza. Questa vera luce divina, è visibile, ma non come la luce del sole, visibile con i sensi.

Come vedere dunque l’invisibile? Come comprendere l’incomprensibile? Con l’intelletto! Ma non l’intelletto che si basa solo sulla conoscenza logica, ma con l’intelletto purificato dal peccato tramite la preghiera e le opere. Quindi l’intelletto purificato accoglie in sé la manifestazione intellettiva di un intelletto “sovraceleste”. Quest’ultimo intelletto non agisce dall’esterno, ma agisce in quanto l’intelletto finito del soggetto è chiamato per sua stessa natura a divinizzarsi.

Ciò non vuol dire che ci sono due conoscenze, una buona e una cattiva, perché Palamas avendo una visione unitaria, vede la conoscenza intellettuale come figlia dell’unica e vera conoscenza (quella che proviene da Dio). Questa visione è prettamente cristiana, perché vede il male come una privazione di Essere-Bene. La luce divina è per l’intelletto ciò che la luce del sole è per la vista. Questa Luce è sia l’intelletto stesso (perché lo ha creato), sia ciò che permette all’intelletto di vedere; è allo stesso tempo fuori e dentro di noi, perché l’atto dell’intendimento è un movimento estatico dell’intelletto che “supera se stesso”. L’intelletto altro non è che “l’occhio dell’anima”.

Perciò Dio è visibile solo per un intelletto purificato e che partecipa alla capacità dello Spirito di “scrutare le profondità di Dio” (1Cor 2,10), e ogni altro intendimento è in sé vuoto, cioè puramente intellettuale-mentale. L’uomo non vede la luce divina perché questa diventa naturale, ma la vede in quanto è lo Spirito stesso a vedere attraverso i suoi occhi. Si tratta di una “partecipazione” al divino in cui non si vede Dio nella sua essenza inconoscibile, ma si vede il manifestarsi continuo e totale dell’atto di Dio attraverso le energie.

Palamas, nell’ultima parte della prima Triade, riporta degli esempi importantissimi:

  • La visione di San Paolo: sulla via di Damasco Paolo non sapeva se vedeva con l’intelletto o col corpo (Cf. 2 Cor 12,2), proprio perché in realtà vedeva tramite l’azione dello Spirito santo:

“vedeva se stesso fuori di sé, colmo dell’indicibile dolcezza di ciò che vedeva e rapito non solo rispetto a se stesso. Ed in quell’estasi dimenticò persino di supplicare Dio”.

  • La visione di San Benedetto:

“un altro fra i santi più perfetti vide tutti gli enti per così dire contenuti da un raggio di questo sole intellettuale, benché anch’egli l’abbia visto non nella sua essenza e nella sua quantità, ma nella quantità in cui egli stesso si rese capace d’accoglierlo, e benché egli abbia appreso, da questa contemplazione e dall’unione superiore all’intelletto che ne deriva, non com’è nella sua natura, ma che è nel modo più vero, che è sovrannaturale e sovraessenziale, che è qualcosa d’altro rispetto a tutti gli altri enti e che è il solo ente in senso proprio, il quale comprende ineffabilmente in se stesso ogni ente”.

  • L’esempio di Elia:

“e perciò quanti vivono nello Spirito risponderanno a coloro che chiedono come si possa vedere una luce invisibile: <<come la vide Elia, il contemplatore di Dio; il mantello posto sul viso indica che egli non vedeva sensibilmente>>”.

  • Gesù sul Monte Tabor: durante la trasfigurazione, solo i tre apostoli che erano con Gesù videro lo splendore che lo circondava, e di certo non lo videro i passanti o gli animali che si trovavano nel luogo. Quindi non si tratta assolutamente di una luce simbolica (come sostiene Barlaam), ma di una luce prettamente divina, e visibile solo attraverso lo Spirito:

“ed allora questa luce, se fosse stata sensibile, come poteva non essere vista, quando li illuminava, dagli occhi, che pur erano lì ed erano aperti, degli animali privi di ragione, che invece vedono le cose sensibili? […] Del resto nulla di sensibile è eterno: ma la luce della deità, che spesso è chiamata anche gloria di Dio, è presecolare ed infinita. Quindi non è sensibile”.

  • La visione di santo Stefano: anche questa visione non è simbolica, ma è una visione spirituale in cui “lo stare alla destra” è simbolico, ma non lo è la visione. Infatti:

“l’Unigenito non mise in scena di certo il suo stare alla destra del Padre allo scopo d’indicare qualcos’altro”.

Per concludere, come scrisse il grande teologo russo Vladimir Lossky: “Questa luce o illuminazione può essere definita come il carattere visibile della divinità, delle energie o della grazia nella quale Dio si fa conoscere. Essa non è d’ordine intellettuale, come lo è talvolta l’illuminazione dell’intelletto presa in senso allegorico ed astratto; non è neppure una realtà di ordine sensibile. Tuttavia, questa luce riempie al tempo stesso l’intelligenza ed i sensi, rivelandosi all’uomo tutt’intero e non soltanto a una delle sue facoltà […] il Tomo agioritico, apologia redatta dai monaci del Monte Athos al tempo dei dibattiti sulla luce della Trasfigurazione, distingue la luce sensibile, la luce dell’intelligenza e la luce increata che supera ugualmente le altre due”.

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"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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