Società

Pubblicato il 22 Marzo 2017 | di Redazione

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Promuovere la comunità e la sostenibilità ambientale

Comunità e sostenibilità ambientaleGian Piero Saladino, direttore dell’UCS diocesano di Ragusa e della Scuola “F. Stagno D’Alcontres” di Modica, è intervenuto, il 21 Marzo 2017, al convegno organizzato in occasione della Giornata Mondiale del Servizio Sociale. Ne pubblichiamo qui ampi stralci che possono interessare i nostri lettori, e stimolare un ulteriore confronto con operatori sociali e operatori ambientali del nostro territorio.

“Leggendo e rileggendo il titolo di questo nostro incontro, che inaugura nel modo migliore la Primavera, ho potuto riflettere sulle quattro “parole chiave” che lo compongono. Il risultato di questo mio pensare, disordinato e grezzo, così come è venuto fuori spontaneamente la notte scorsa, proverò a riportare a voi in questa sede. Le parole sono “promuovere”, “comunità”, “sostenibilità” e “ambiente”. Andiamo con ordine!

PROMUOVERE: vuol dire muovere in favore, muovere verso, e mi sono chiesto: ma verso dove? Oggi infatti siamo esperti di strumenti e di metodologie, attenti ad efficienza e produttività, cultori di velocità che vogliono assicurare risposte ai bisogni in tempo reale, tifosi di una “rottamazione” che sostituisce, senza cambiare la sostanza, gli anziani con i giovani, illudendoci che essi siano portatori di soluzioni anziché solo – ma non è poco – di energie nuove. Siamo in realtà tutto questo, ma non abbiamo chiara la visione, l’orizzonte, gli obiettivi lunghi, e men che meno le priorità.

Ho pensato, allora, che bisogna pensare più che fare, e fare solo dopo aver pensato, in un’ottica di medio-lungo termine e non più solo di breve termine: la Politica ha la massima responsabilità da questo punto di vista, ma gli operatori sociali non possono lavarsene le mani e rimanere passivamente in attesa. Bisogna cambiare sistema, adottare nuove categorie e nuovi metodi, e non basta “cambiare abito” o usare parole alla moda!

COMUNITÀ: la Comunità è rivoluzionaria, perché mette in crisi la logica e l’obiettivo di un potere sempre più oligarchico, avente natura economico-finanziaria fondata sul profitto a breve e sulla smaterializzazione della ricchezza (bit-coin). Questo potere – esercitato con quella che molti chiamano “dittatura del pensiero unico liberista” – persegue premeditatamente l’atomizzazione sociale e la disintegrazione della persona come azione di frammentazione della sua identità profonda.

Per capirci, una famiglia numerosa e solidale consuma meno di tante famiglie uni-personali e perlopiù solitarie, sia per ragioni oggettive (4 persone in una casa consumano meno luce di 4 persone singole in 4 case; ovvero, un quartiere del centro storico, in cui esistono relazioni di prossimità, consuma meno di un quartiere di villette mono-familiari, prive di ambiti di socializzazione, dove tutti i servizi vengono acquistati, non ci si incontra, non esistono possibilità di scambio in natura di cortesie e prestazioni, come spesso avviene in un quartiere in cui vigano, invece, rapporti di stretto vicinato), sia per ragioni soggettive (la persona singola, che viva da sola, sviluppa una propensione alla dipendenza dai beni di consumo, alla febbre dello shopping, molto maggiore di un gruppo di persone che vivono relazioni significative gratificanti in sé). Questo giova a chi si fa paladino del Dio denaro, che si alimenta di consumi potenzialmente illimitati. La sovrapproduzione, quando non venisse assorbita, sarebbe un colpo mortale al sistema; in passato, ha prodotto guerre mondiali e guerre regionali e “a rate”….l’IRAQ, ad esempio, è stato distrutto scatenando la guerra del Golfo da parte americana, non perché c’erano armi chimiche nascoste, perché non c’erano, ma per poterlo ricostruire, con grandi guadagni per le grandi compagnie edilizie e impiantistiche.

Costruire comunità è quindi il modo più potente ed efficace per modificare pacificamente un meccanismo di potere iper-consumistico, che genera guerre, divora risorse esauribili del pianeta, aliena le persone e le conduce – in una tipica sindrome di Stoccolma – a desiderare la condizione di vittima servile del sistema.

Nella Leggenda del Grande Inquisitore, in un capitolo illuminante dei Fratelli Karamazòv di Dostoevskij, il carceriere dice a Cristo – ritornato sulla terra e condannato a morte per aver turbato la quiete – che gli uomini non apprezzano la libertà da lui portata, perché vogliono vivere felici nell’obbedienza passiva a un’autorità assoluta. La libertà fa paura agli uomini, è scomoda perché rende responsabili, ma essi vogliono vivere tranquilli, anche se schiavi.

Bisogna quindi promuovere e consolidare ogni possibile e concreta esperienza di Comunità. Ci si potrebbe chiedere, allora: come? Perché non basta l’assistenza, ma necessita partecipare alla vita pubblica, facendosi facilitatori di processi di socializzazione, e rafforzandoli prima che abortiscano.

Bisogna recuperare il valore positivo, razionale e affettivo del “NOI”, penalizzando con decisione quell’idea errata di libertà che si riduce alla solitudine dell’IO assoluto, sciolto da ogni legame, narcisistico e autoreferenziale, chiuso e fatalmente pavido e inaffidabile, anziché aperto, coraggioso, oblativo.

Commetteremmo un errore se restassimo indifferenti (“odio gli indifferenti”, diceva Antonio Gramsci, e “I care” rispondeva Don Milani), o anche solo “equidistanti” fra il partito della costruzione sociale attiva e quello di un vecchio ”laissez faire”, di cui rievoco alcune esclamazioni ricorrenti:
• vivi e lascia vivere!
• ma a te che te ne frega?
• ma che devi salvare tu l’Italia?
• questo è un atteggiamento buonista!
• ma se quello vuole fare così, tu perché glielo vuoi impedire?
• tanto la realtà è questa!

SOSTENIBILITÀ – In questo orizzonte concettuale ed etico, va’ posto il problema/opportunità della sostenibilità, e della sostenibilità ambientale in particolare.

Sostenibilità vuol dire possibilità di fare senza che le conseguenze procurino un danno irreversibile nello spazio (ad altri popoli) o nel tempo (ad altre generazioni). Ogni scelta umana deve pensare alle conseguenze non solo vicine, ma anche lontane nello spazio, e non solo immediate, ma anche remote nel tempo. Ciò, perché potrebbero essere, una volta che si determinino, non più rimediabili.

Faccio un esempio, tratto da servizi giornalistici di questi giorni: è stato accertato scientificamente che la riduzione delle nascite e la crisi demografica, e quindi l’invecchiamento del mondo occidentale e capitalistico, sono dovuti non solo alla crisi dell’istituto familiare – frutto a sua volta di una insostenibilità sociale delle convivenze durature – quanto dall’aumento della infertilità maschile, causata da prodotti chimici contenuti nell’ambiente, nei cosmetici, in alcuni farmaci di largo consumo (paracetamolo), che sono in eccesso rispetto alla naturale capacità umana di smaltimento. Essi determinano aumento degli estrogeni femminili anche negli uomini e riduzione del testosterone, ormone principe della funzionalità sessuale maschile.
Ebbene, tutti presi dalle virtù dei cosmetici e dei farmaci che attentano alla numerosità e vitalità degli spermatozoi, abbiamo rimosso il problema della sostenibilità e generato danni (l’infertilità) molto più gravi dei benefici (il miglioramento estetico e il contenimento dei mal di testa, considerato che il paracetamolo, assunto in eccesso dalle donne in gravidanza per contrastare le emicranie, fa nascere figli maschi – diciamo così – depotenziati).

Nel contesto di iper-velocità, efficientismo e delirio di onnipotenza ed eterna giovinezza, che ci ha fatto rimuovere il disagio piuttosto che accettarlo e dargli senso, la nostra umanità ha perduto la capacità di un pensiero lungo, di una visione prospettica, di una previsione della sostenibilità dei nostri comportamenti.

Un altro esempio, brevissimo, è quello del nostro debito pubblico nazionale, regalo truffa dei nostri padri, che hanno fatto fortuna facendo debiti che ora noi, in tempo di crisi, dobbiamo pagare.

AMBIENTE – Questo tipo di ragionamento può valere anche riguardo al nostro rapporto con ciò che, ambiguamente e confusamente, chiamiamo ambiente.

Il salto di qualità antropologica, culturale e spirituale (in senso laico), ma anche il valore pratico e operativo della visione di Papa Francesco, sta nel fatto di aver concepito l’ambiente non come dimensione subordinata all’arbitrio dell’uomo (andate e dominate la Terra), né come dimensione conservatrice (mummificazione paesaggistica, naturalistica, urbanistica della realtà), ma come nuova dimensione olistica, integrata, fra uomo e natura (entrambi parte della creazione), e fra dimensione ambientale e dimensione sociale, che dell’ambiente è parte integrante come parte integrante della natura creata è l’uomo .

Pertanto, se vogliamo parlare di sostenibilità ambientale, dobbiamo riferirci a una nuova armonia fra contesto materiale della convivenza umana e contesto sociale, fra natura e cultura, fra paesaggio rurale e paesaggio urbano (penso al bosco verticale di Milano, considerato il grattacielo più bello del mondo), fra fisicità e psiche, fra dimensione biologica e dimensione antropica.

Da questo punto di vista, i due elementi sono strettamente interconnessi, in quanto un ambiente in cui vive e opera in modo ostile la componente umana, questa degrada e muore privando la comunità di un bene indispensabile alla sua sana esistenza, e addirittura alla sua sopravvivenza come specie.

Una società in cui l’ambiente è degradato, un quartiere dove l’igiene e la cura urbanistica e architettonica sono trascurate o addirittura degradate, influisce gravemente sull’auto-percezione delle persone e della comunità che in esso vive, e questo scoraggia il recupero e la costruzione del tessuto sociale e incoraggia – nello stesso tempo – la devianza e la disperazione individuale e sociale.

Cosa voglio dire, in realtà, con questo mio intervento così distante dal nostro quotidiano impegno lavorativo? Voglio dire soltanto che possiamo e dobbiamo, se non l’avessimo ancora fatto pienamente e radicalmente, allargare lo sguardo per ripensare il ruolo, gli ambiti di interesse e le attività specifiche dell’assistenza sociale, in un’ottica integrata che comprenda in un unico insieme sia l’uomo che il suo ambiente, dando priorità al problema fondamentale e improrogabile della sostenibilità ambientale quale “condicio sine qua non” della sostenibilità come vivibilità sociale e come pace sociale.

CONCLUSIONI – Concludo con una raccomandazione ancora più spinta: neppure la sostenibilità ambientale oggi basta! Gravi danni sono stati già fatti e la capacità di sopravvivere del pianeta come dei quartieri urbani dipende da una netta retromarcia laddove ci si sia spinti, come nel caso – ad esempio – del clima e dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua, ben oltre la soglia della sostenibilità.

In questi casi infatti – in cui possiamo parlare di “beni comuni” – bisogna urgentemente valutare l’opportunità di una vera e propria “decrescita”, e non solo di sostenibilità, cioè di un rallentamento della crescita secondo una velocità inferiore a quella con cui la Terra ripristina le risorse consumate. Nel caso del consumo di suolo e di sottosuolo, bisogna arrestare la deriva suicida del costruire ad ogni costo anziché riqualificare il tessuto urbano esistente, dell’estrarre ad ogni costo anziché riciclare le materie prime seconde, perché questo non è un problema economico e ambientale, ma è un problema sociale, poiché incide sulle relazioni umane in modo ormai devastante.

Gli operatori sociali hanno quindi una nuova responsabilità di “advocacy” e un nuovo terreno di lavoro, non possono chiudersi nel ghetto delle bende e dei cerotti sociali, ma devono assumere con coraggio e competenza posizioni di cittadinanza attiva, nella loro professione e nella loro vita personale.

L’educazione dei minori, la prevenzione delle categorie di pensiero e dei comportamenti ambientalmente errati, il dialogo con gli ambientalisti e con gli urbanisti, la battaglia per il diritto a una casa decente in un quartiere reso decente, deve diventare – e sono solo esempi – battaglie prioritarie rispetto a un mero approccio tradizionale di assistenza, o di prevenzione sociale, perché se non si cambia l’ambiente in cui le persone vivono le persone non possono essere neppure aiutate e garantite.

Concedetemi una seconda, breve, citazione di Papa Francesco, il quale ha detto più o meno che, oggi, bisogna andare oltre la classica interpretazione della parabola del Buon Samaritano. Non basta più – dice – accorgersi del bisogno della persona sofferente, ascoltarne il dolore e averne compassione avvicinandosi a lei, soccorrerla senza voltarsi da un’altra parte, accompagnarla nel luogo dell’assistenza e della cura (la locanda), assicurargli il pane per qualche giorno (pagando l’oste) o per tutta la vita.

Oggi è indispensabile – dice Francesco – interrogarsi su quali cause hanno generato la sofferenza, e su chi ha ridotto l’uomo in fin di vita, per poter rimuovere le cause, non solo sociali ma anche ambientali, e allontanare i carnefici dalla creatura sofferente e dalla creazione ferita in cui essa ha bisogno di vivere in pace.

Con questo appello non mio, ma che faccio mio, mi auguro che sappiamo esplorare le vie della sostenibilità per promuovere la comunità, e di saper individuare e adottare soluzioni nuove e metodologicamente adeguate alla sfida del presente, anche nel nostro territorio, che ha bisogno di essere salvaguardato, ambiente e persone che lo abitano e che, se non lo distruggono, gli danno senso.”

Buon lavoro!
Gian Piero Saladino


Autore

"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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