Pubblicato il 14 Aprile 2017 | di Mario Cascone
0Il Crocifisso è risorto: l’annuncio che salva l’uomo di ogni tempo
Possiamo leggere la morte di Gesù in croce nell’ottica del centurione romano. Costui, pur non appartenendo al popolo eletto e non conoscendo le Sacre Scritture, è il primo a fare una professione di fede nei confronti di Cristo. L’evangelista Marco ci riferisce testualmente: «Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!”» (Mc 15,39).
Proviamo a immaginare perché il centurione è arrivato ad una così esplicita professione di fede. Probabilmente all’inizio egli si sarà sentito infastidito da tutta quella serie di avvenimenti che avevano determinato la condanna di Gesù. Egli non poteva comprendere le motivazioni religiose e politiche che avevano spinto i capi del popolo a chiederne la condanna a morte. Portare un condannato al patibolo doveva essere per lui un lavoro di normale routine. Era abituato a impostori di ogni tipo, ma questo condannato chiamato Gesù di Nazareth aveva qualcosa di speciale: non reagiva agli insulti e agli sputi, mostrava una grande pazienza, le poche volte che aveva aperto la bocca era stato per usare parole di misericordia e di perdono. Probabilmente il centurione romano aveva anche sentito bisbigliare qualcosa fra Gesù e il “buon ladrone”, il quale aveva riconosciuto l’innocenza del Nazareno e si era sentito dire: “Oggi sarai con me in Paradiso” (Lc 23,43).
Tutte queste cose sono sinteticamente contenute nella frase “vistolo spirare in quel modo”, che l’evangelista Marco riporta come motivazione della professione di fede del centurione. Gesù era spirato in un modo straordinario: era apparso come “agnello mansueto condotto al macello”, come “pecora muta dinanzi ai suoi tosatori” (Is 53,7); era sembrato “la mansuetudine indifesa”, che vince il male col bene, l’odio con l’amore. Tutto questo, e altro ancora, sarà passato nella mente del soldato romano, che aveva fissato il suo sguardo su Gesù crocifisso e forse non era più riuscito a distoglierlo da lui.
Possiamo trovarci anche noi nella situazione del centurione. Basta contemplare il volto sfigurato di quest’uomo che soffre ingiustamente. Egli ci mostra il mistero del dolore innocente, della sofferenza di chi non ha nessuna colpa, eppure sconta una grande pena, la pena che avremmo dovuto scontare noi. Egli ci mostra il mistero del dolore offerto per amore. Fissando il nostro sguardo su di lui anche noi possiamo provare a dire: “Si, Gesù, tu sei il Figlio di Dio! Tu sei il mio Signore, il mio Salvatore!”.
Sulla base di questa professione di fede possiamo anche noi accostarci, nel mattino di Pasqua, al sepolcro vuoto dove era stato sepolto Gesù per sentirci dire dall’angelo: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto!” (Mc 16,6). Quest’annuncio pasquale ha invaso l’universo, ha percorso tutte le strade della storia ed è giunto oggi fino a noi. Esso è il grido della speranza che diviene certezza, il grido della gioia che si schiude nel cuore di ogni uomo, perché ci pone di fronte al grande evento del trionfo della vita sulla morte.
Cristo è risorto! Nessuno ha assistito all’evento del risorgere, che si svolge nell’intimità del dialogo trinitario. Ma il fatto è certo: la tomba è vuota, il lenzuolo sindonico è “disteso” come se il corpo del defunto si fosse sfilato, il sudario è ripiegato a parte. Sono tutti particolari raccontati puntigliosamente dai Vangeli, a conferma della straordinaria importanza del fatto. Cristo è risorto: lo ha visto Maria di Magdala per prima, ma poi lo hanno visto anche gli apostoli, i discepoli di Emmaus, i discepoli sulla riva del lago di Tiberiade. Tommaso ha voluto mettere il suo dito nelle piaghe del Crocifisso risuscitato e si è prostrato dinanzi a Lui dicendo: “Signore mio e Dio mio!” (Gv 20,28).
Anche noi vogliamo inginocchiarci davanti al Signore e fare la nostra professione di fede nella sua signoria. Anche noi desideriamo gridare come Giovanni, che lo riconosce risorto sulla riva del lago: “È il Signore!” (Gv 21, 7). Lo riconosciamo vivo e vero nello spezzare il pane, come i discepoli di Emmaus ed esclamiamo: “Davvero il Signore è risorto!” (Lc 24,34).
Come Serafino di Sarov desideriamo annunciare a tutti: “Gioia mia, Cristo è risorto!”. Questo sarà l’annuncio capace di salvare l’uomo di ogni tempo e di sottrarlo all’insignificanza, al grigiore, alla mediocrità, ma anche alla violenza e alla morte. Questo sarà il fondamento più solido della nostra speranza e ci aprirà le porte dell’eternità, in cui lo vedremo “faccia a faccia” e godremo per sempre della sua gloria!