Società

Pubblicato il 21 Luglio 2017 | di Redazione

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19 luglio 2017: Ragusa non dimentica

23 GIUGNO 1992, PALERMO, CHIESA DI SAN DOMENICO.

“Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso.
Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte.
Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte.
Non poteva ignorare, e non ignorava, Giovanni Falcone, l’estremo pericolo che correva, perché troppe vite di suoi compagni di lavoro e di suoi amici sono state stroncate sullo stesso percorso che egli si imponeva.

Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché non si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto d’amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli sono stati accanto in questa meravigliosa avventura, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria cui appartiene.”

Così iniziò il suo discorso Paolo Borsellino la sera del 23 giugno 1992 nella chiesa di San Domenico, di fronte a migliaia di giovani venuti da tutta Italia: è il suo testamento, è l’ultimo bacio alla sua terra amata, bellissima e disgraziata, così la definiva in quella occasione ricordando l’amico Giovanni, Francesca Morvillo e gli agenti morti nella strage di Capaci, consapevole che presto sarebbe stato il suo turno.

A distanza di 25 anni da quella estate di morte, il suo Paese non è stato in grado di ricostruire gran parte dei fatti e degli attori che giocarono un ruolo negli attentati di Capaci e di Via D’Amelio e nelle stragi del 93: mancano ancora la verità e la giustizia.

Le parole di Borsellino rivelate dalla moglie “Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri” non sono state smentite e i tentativi per ricostruire la verità hanno prospettato scenari terribili che ci spingono a chiedere di far luce su quegli anni a tutti i costi, per fare pace con il passato, con il presente e con il futuro di questa terra.

La memoria non è di qualche “utilità”, la memoria è una questione di senso ovvero è tridimensionale: ha le sue fondamenta nel passato ed è giustificata da quest’ultimo, impregna di significato il presente, cioè vi aggiunge valore e riguardo al futuro indica una direzione e quindi un orizzonte al quale tendere senza che questo diventi utopico. Dunque, affinché l’evidente coesione che risulta dalla partecipazione a questo rito civile valichi la sfera emotiva, in momenti di indubitabile commozione, occorre chiedersi: quali sono l’espressione e la direzione di questa memoria? Innanzitutto, essa ha una dimensione politica: non siamo chiamati ad essere solo “delle brave persone”, oneste, ma anche dei buoni cittadini. Questa memoria, infatti, ci consegna due elementi fondamentali: la cifra esatta della giustizia, poiché uguaglianza di fronte alla legge è uguaglianza nella pratica dei nostri diritti e la necessità di uno sguardo critico e qualificato nei confronti della fenomenologia mafiosa, capillare nel nostro territorio. In secondo luogo, la memoria è individuale e collettiva: in queste due direttrici, deve sempre farsi desiderio di giustizia sociale e di verità, deve risolversi nell’integrazione fra la formazione (quale, ad esempio, la diffusione di una cultura della legalità) e il servizio, cioè in un operare orientato alla lotta alla mafia. Pertanto, essa non si commemora, si esercita. Infine, la memoria è necessità di progresso: alla vana ripetizione del “così è stato, è e sarà sempre” sostituiamo la consapevolezza che molto è stato fatto e molto è ancora da fare per contrastare le organizzazioni criminali.

“Abbiamo un debito verso di loro”, concludeva Borsellino, riferendosi alle vittime di Capaci. Ricordando ogni anno il sacrificio di Paolo Borsellino, di Emanuela Loi, Agostino Catalano, Eddie Cosina, Claudio Traina e di Vincenzo Li Muli, paghiamo solo una parte del debito verso di loro e verso le altre vittime di quella stagione.

La parte restante del debito va pagata giorno per giorno, nelle piccole scelte e in quelle importanti, imparando ad amare questa terra, bellissima e disgraziata.

Per tale ragione Marina di Ragusa non dimentica.

Riflessione di Fabrizio Iacono (Fuci Ragusa)

 


Autore

"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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