Pubblicato il 16 Ottobre 2017 | di Redazione
0La ricerca della felicità
La ricerca della felicità è il titolo di un gran bel film di Gabriele Muccino. Una pellicola di gran successo! E’ proprio così, siamo tutti alla ricerca. Come scrisse Sant’Agostino: “non vi è per l’uomo altra ragione del filosofare che quella di essere felice”. Da queste parole emerge un fatto certo: se siamo alla ricerca della felicità, vuol dire che per natura non la possediamo! La nostra condizione, anche quando non è totalmente infelice, comunque conosce stati non comparabili a questo sentimento; in questi casi si parla di calma, tranquillità, serenità… ma nulla di tutto ciò viene perseguito con lo stesso interesse che si ha verso la felicità.
Perciò è qualcosa che richiede un cammino, uno sforzo. Tuttavia non basta mettersi in cammino, perché questa emozione è qualcosa di imprevedibile, è fatta di attimi sfuggevoli. Non la si possiede e non la si comprende mai pienamente.
E’ chiaro che non esiste una ricetta per essere felici, ma esiste sicuramente una disposizione d’animo; cioè una condizione in cui l’uomo, con tutte le sue miserie, non sprofonda nelle tenebre, ma si mette in ascolto e apre il proprio cuore verso quella parola o quel gesto che lo può rendere felice. La felicità, quindi, non solo è transitoria, ma è pure immeritata.
Queste poche parole devono metterci nella condizione di porci altre domande serie. Se non si può fare nulla per essere felici, come mai tutti ci affanniamo nelle corsa verso di essa? Perché sentiamo questa urgenza? A mio avviso questo accade perché nella vita, almeno una volta, tutti abbiamo provato attimi di felicità; e quando si è stati felici, da un lato si ha la nostalgia verso questo stato di grazia, dall’altro si vorrebbe contagiare il mondo intero con questa condizione paradisiaca. E’ come se tutto sfuggisse sempre a chi è stato felice, ma allo stesso tempo si sa che quello stato può ricapitare.
Molti cercano di fondare una sua etica, come se le azioni potessero essere capaci di condurci a trovarla e ritrovarla sempre. Ma tale atteggiamento è ingannevole, perché come la grazia abbraccia e consola chi vuole, così la felicità cade dal cielo e al cielo ritorna. La felicità così mostra il suo lato divino: non la si può ingabbiare, non la si può trattenere. Pertanto, non esistono regole prestabilite, ma al massimo – come detto prima – può esistere un atteggiamento positivo verso una imprevedibile ricezione della felicità.
Un’ultima cosa essenziale va detta: una ricchezza non condivisa e priva di relazioni non è quello che l’uomo cerca. Un uomo felice ma isolato, non potrà mai aver sperimentato la felicità pienamente. Come scrisse Aristotele, l’uomo è sempre un “animale sociale” (politikòn zôon). Perciò la felicità va vissuta in un contesto comunitario. In che modo? Essa va narrata con le parole, con i gesti e con le emozioni. La felicità non ci appartiene, eppure possiamo essere contagiosi nel momento in cui la possediamo. Proprio come la libertà: essa – secondo Platone – esiste solo nell’atto del liberare! E’ dunque evidente che se non esistono istruzioni precise sul raggiungimento della felicità, è pure chiaro e necessario che se non la si può comprendere, almeno si potrà sempre narrare!