Pubblicato il 4 Dicembre 2017 | di Redazione
0“Del pessimismo teologico” il nuovo libro di Luca Farruggio
E’ uscito (per Il Prato Edizioni) il nuovo libro del filosofo ragusano Luca Farruggio: “Del pessimismo teologico”. Il libro è stato accolto nella collana “I cento talleri” curata dal filosofo Diego Fusaro.
Si tratta di un dialogo tra un teologo, un filosofo e un poeta.
Lo si può ordinare in tutte le librerie o acquistare online su tutti i bookstore.
Riportiamo di seguito la presentazione scritta dal Prof. Giuseppe Girgenti, filosofo e docente presso l’Università San Raffaele di Milano:
Non è stato facile scrivere una presentazione a questo scritto filosofico di Luca Farruggio che si presenta nella forma letteraria del dialogo tra un poeta, un filosofo e un teologo. Un’opera letteraria di solito si presenta da sé. Anch’io, in tempi lontani, scrissi un dialogo simile, che aveva come titolo «Dialogo tra un artista, un filosofo e un santo», nel quale i protagonisti avevano i nomi di Antinoo, Marco Aurelio e Giustino. Ma non lo pubblicai, giacché colui al quale l’avevo dato in lettura, con la speranza che scrivesse una presentazione, lo cestinò immediatamente ammonendomi che era solo una perdita di tempo. Volevo fare lo stesso venticinque anni dopo. Tuttavia, in Dell’inizio, Massimo Cacciari – uno dei maestri di Farruggio – ricordava che la scrittura filosofica delle origini alternava vari generi letterari quali la poesia, l’aforisma, il dialogo e il trattato, possibilità assai diverse ma ugualmente significative nell’espressione del pensiero dell’autore; e dunque è questo ciò che proverò a fare in queste poche righe, cioè anticipare al lettore il pensiero dell’autore, il quale afferma esplicitamente di riconoscersi maggiormente nelle parole che mette in bocca al teologo; purtuttavia, anche gli altri due personaggi, il poeta e il filosofo, esprimono visioni del mondo e della vita che a lui non sono affatto estranee, ma che anzi lo pervadono come continua domanda di senso. Del resto, Farruggio non è solo un teologo – o meglio un cristiano credente – ma anche e soprattutto un poeta e un filosofo, e non è necessario qui ricordare le sue raccolte poetiche e i suoi testi filosofici già pubblicati in passato.
Il titolo del dialogo, Del pessimismo teologico, svela l’ispirazione di fondo di Farruggio, che io definirei uno «sgalambrismo cristiano»: da La morte del sole a De mundo pessimo, la presenza paradossale di Manlio Sgalambro e della sua prospettiva nichilista neogorgiana si avverte forte negli schizzi farruggiani; paradossale, giacché non è immediato accostare il nichilismo alla teologia, se non in un estremo tentativo apofatico, di marca neoplatonica, di riferirsi a Dio come il «Nulla di tutto», in termini plotiniani o dionisiani. Un «Nulla» che però ogni neoplatonico che si rispetti ha sempre pensato come «Agathon», o, meglio ancora, come «Ariston» e come «Optimum». Un Bene, un Ottimo, al di sopra degli enti. Quando Porfirio parlò in questi termini del divino e del «sacro matrimonio» durante un simposio in onore di Platone, Plotino lo elogiò definendolo al contempo «poeta», «filosofo» e «ierofante». Come può allora Luca Farruggio, che di questi spiriti magni pretende di essere epigono, pensare e parlare del «Pessimum»? Forse, azzardo, solo nello scacco continuo di questa ricerca affannosa del Bene con gli strumenti del sentimento, della ragione e della fede che da soli risultano infine sempre inadeguati, e che di esso – o di Lui – ci lasciano solo la nostalgia. La nostalgia del Bene mai trovato ci rende pellegrini perpetui e rende altresì utopica ogni «hesychia» mondana; il «cor inquietum» non riposa mai, e forse per parlare dell’Amato mai trovato sarebbe più appropriato l’urlo piuttosto che il silenzio. Magari una vox clamantis in deserto che nessuno può udire, piuttosto che una consacrazione al religioso silenzio che tutto il mondo può vedere.
Il discorso trinitario del teologo sembra quindi dolersi dell’assenza del Padre e della morte del Figlio; quel che resta è lo Spirito agapico, praticabile ormai non più come rapporto verticale paterno/filiale ma soltanto come rapporto orizzontale tra fratello e fratello; al massimo, tra un fratello maggiore e uno minore. Proprio questo all’unisono chiedono il poeta e il filosofo al teologo: come parla lo Spirito? Come si manifesta? Dove lo troviamo? La via è la imitatio Christi nello scandalo della morte in croce e nel suo grido disperato rivolto al Padre, che apparentemente lo ha abbandonato. «Non si fa poesia impunemente», scrisse una volta Sgalambro a Farruggio, e qui il teologo rispedisce al mittente, cioè al poeta, il medesimo monito; al contempo, agli occhi del filosofo, questa teologia mistica negativa puzza di irrazionalismo schopenhaueriano. L’Anticristo nietzschiano allora non può che essere la risposta provvisoria al tramonto del cristianesimo, che è insieme tramonto dell’Occidente. Un’immoralità provvisoria che ci consente di augurarci la buona notte in attesa dell’alba.