Pubblicato il 23 Gennaio 2018 | di Mario Cascone
0“Cristianelli annacquati”, i cattolici e la politica secondo don Luigi Sturzo
Circa novant’anni fa, esattamente il 30 agosto 1925, don Luigi Sturzo scriveva la “Crociata d’amore”, in cui, fra le altre cose, esprimeva una riflessione che conserva ancora oggi una stringente attualità. Ecco le testuali parole del sacerdote e statista calatino, che seppe conciliare come pochi la fede con l’impegno politico, in una visione autenticamente laica dello Stato e della società:
“È vero che molti, oggi, anche cristianelli annacquati, posano a fieri censori di coloro che si occupano di vita pubblica; e definiscono la politica una sentina di mali, un elemento di corruzione, uno scatenamento di passioni; e quindi da starne lontani; costoro confondono il metodo cattivo con quella che è invece doverosa partecipazione del cittadino alla vita del proprio Paese. Invece la politica è per sé un bene: il far politica è, in genere, un atto di amore per la collettività; tante volte può essere anche un dovere per il cittadino. Il fare una buona o cattiva politica, dal punto di vista soggettivo di colui che la fa, dipende dalla rettitudine dell’intenzione, dalla bontà dei fini da raggiungere e dai mezzi onesti che si impiegano all’uopo. Il successo e il vantaggio reale possono anche mancare, ma la sostanza etica della bontà di una tale politica rimane.
Così ragionano i cristiani di ogni tempo e di ogni Paese. E con questo spirito l’amore del prossimo in politica deve stare di casa, e non deve essere escluso come un estraneo, né mandato via facendolo saltare dalla finestra, come un intruso. E l’amore del prossimo non consiste né nelle parole, né nelle moine: ma nelle opere e nella verità”.
I “cristianelli annacquati” a cui si riferiva don Sturzo non sono certo scomparsi al giorno d’oggi, anzi sono aumentati nel numero e peggiorati nella specie, andando a rinfoltire quella vasta schiera di sedicenti cristiani, che fanno della fede un fatto intimistico e rifuggono dalla politica come se questa fosse un demonio. Riducendosi ad un cristianesimo “tutto casa e chiesa”, costoro fanno gli schizzinosi nei confronti dell’impegno politico e delegano volentieri ad altri l’ingrato compito (si fa per dire!…) di sporcarsi le mani. E siccome molti di quelli che fanno politica oggi le mani se le sporcano volentieri, pur di ottenerne concreti vantaggi personali, i “cristianelli annacquati” sono addirittura più contenti, perché in questo modo conservano la loro “pia innocenza” e fingono di non accorgersi delle palesi immoralità che caratterizzano oggi l’azione politica di tanti, anzi in più di un’occasione addirittura le giustificano come una sorta di male necessario… La conseguenza è che la mediocrità etica della classe politica avanza ed anzi sembra essere premiata, nel senso che più uno è capace di interpretare l’impegno politico in termini di tornaconto personale, più riceve il consenso dalla gente, che lo giudica abile, furbo, capace, addirittura meritevole d’invidia, perché assurge quasi a modello da imitare…
E così sono tutti felici e contenti: i “cristianelli annacquati” vivono nella devota “purezza” di una fede che non fa sporcare le mani, i politici di professione escogitano sempre nuovi sistemi per rafforzare le loro posizioni di potere, i portaborse fanno a gara per accaparrarsi il potente di turno, i burocrati e i funzionari trovano sempre nuove maniere per incrementare i propri utili… A soffrire è la gente comune, quella che fa fatica ad arrivare a fine mese o non sa come sbarcare il lunario, dovendo far fronte a continue esigenze familiari…
Come se ne esce? Smettendola di considerare la politica una “cosa sporca” e di dare con facilità deleghe in bianco ai potenti di turno. A dirlo non sono io, ma sono stati i vescovi italiani in un coraggioso documento pubblicato nel 1986 e intitolato “La Chiesa italiana e le prospettive del Paese”. In quel testo i nostri Pastori denunciarono il degrado della politica nel nostro Paese, in un contesto sociale che poi sarebbe sfociato nella tangentopoli e nell’operazione “mani pulite”. L’indignazione morale che pervase il Paese in quegli anni oggi si è spenta e ha ceduto il posto a forme nuove di collateralismo con i “poteri forti”, oltre che a supine maniere di rilassamento etico, se non di aperta connivenza col degrado morale.
Sarebbe utile riprendere alcune delle riflessioni proposte dai nostri Pastori in quel testo del 1986 e collegarle con quanto scrisse don Sturzo nel 1925. È importante soprattutto considerare la politica un bene e mettersi in testa che “il far politica è, in genere, un atto di amore per la collettività”. Si tratta, in altri termini, di interpretare l’impegno politico nei termini di quella “carità in grande” di cui parecchie volte ci ha parlato il magistero dei Papi; una carità che non può vedere i cristiani nella retroguardia o nel ruolo di “pronto soccorso” nelle diverse aree del disagio sociale, senza poter partecipare alla gestione della cosa pubblica e alla determinazione di ciò che occorre per perseguire il bene comune. L’amore, come ci avverte don Sturzo, “non consiste né nelle parole, né nelle moine: ma nelle opere e nella verità”. Esso è dunque qualcosa di concreto, che esige operatività e realismo, ma anche onestà e sincerità. Da questo punto di vista lo statista e sacerdote di Caltagirone spiega che spesso si confonde il cattivo metodo politico con la doverosa partecipazione dei cittadini al bene del proprio Paese. Questa confusione si sconfigge restituendo spessore morale alla politica, allontanando da essa con coraggio gli intrallazzatori e i disonesti di ogni tipo e rinfoltendo le schiere degli uomini “liberi e forti”, come li chiama lo stesso don Sturzo. Uomini che, con retta intenzione e utilizzando mezzi onesti, possono svolgere un servizio d’amore nei confronti della collettività.