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Pubblicato il 31 Ottobre 2018 | di Saro Distefano

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Il cammino di Santiago Un’esperienza da vivere

Una cosa è certa: non si torna a casa così come si era partiti. Qualcosa cambia, inevitabilmente. E non solo le vesciche ai piedi, qualche chilo in meno (ma non vale per tutti, anzi) e la “Compostela” poi incorniciata appena arrivati a casa. Il pellegrinaggio a Santiago in Spagna è esperienza unica, da vivere pienamente, coscientemente.

Un gruppo di quindici amici, facenti riferimento alla parrocchia Sacra Famiglia di Ragusa, hanno voluto provare. Organizzati da fra’ Paolo Messina, sono stati dodici giorni tra Madrid (dove lo sciclitano, ma ormai trapiantato madrileno, lo storico Francesco Pellegrino li ha guidati in un tour molto bello) e Finisterrae. Hanno camminato per poco meno di centocinquanta chilometri, sufficienti per arrivare a Santiago e farsi consegnare la “Compostela”, una pergamena che attesta (attraverso l’apposizione dei vari “sello”, i sigilli che si trovano nelle chiese, negli ostelli, in alcune postazioni lungo il cammino) di aver percorso il celebre “camino” per almeno cento miglia (se a piedi o a cavallo) e di almeno duecento per chi pedala in bicicletta.

Camminare lungo i sentieri galiziani, tra ombrose foreste e freddi ruscelli, montagne e laghi, per arrivare all’Atlantico, è stato utile anche per abbracciare nuove amicizie e rinsaldare le vecchie, perché lo zaino in spalla, il bastone con la conchiglia e il cappello in testa sono una componente del pellegrinaggio, essenziale ma non unica. Quello di Santiago de Compostela è infatti un viaggio che coinvolge il corpo, e non poco, e però chiunque affronti il sentiero dell’Apostolo ne torna deciso a replicare, appena possibile.

«Era la seconda volta che andavo a piedi a Santiago – racconta padre Pietro Giarracca, il parroco della Sacra Famiglia – e così come la prima volta, sono emozionato, soddisfatto. Il viaggio è stato faticoso, com’era prevedibile, ma per chi ha la fede, per chi è disposto alla preghiera e al sacrificio, andare a piedi a Santiago è esperienza da vivere. Ovviamente non sono mancati i problemi, da preventivare per chi decide di raggiungere la barocca cattedrale iacope, prezzi che si pagano volentieri per poter godere di una esperienza che però rimane, indelebile».

A Santiago si può andare con spirito religioso, quello che ha mosso i primi pellegrini oltre mille anni fa, così come sfida con se stessi (magari viaggiando da soli), per spirito d’avventura e per meditare. Certamente la sfera spirituale, intimamente personale è messa alla prova, è coinvolta in un processo quasi di “revisione” delle proprie certezze assunte quotidianamente nella vita di ciascuno.

Saro Distefano, molto conosciuto a Ragusa perché geometra professionista affermato e apprezzato: «con i frati cappuccini della Sacra Famiglia ero già stato in Terra Santa – spiega – e adesso a Santiago. Entrambe esperienze forti, specie per chi crede. Rispetto ai luoghi vissuti da Gesù nella sua opera di evangelizzazione con gli apostoli, nel pellegrinaggio in terra spagnola c’è da aggiungere il cammino, spirituale e fisico, che per almeno sette o otto giorni coinvolge l’intera persona».

Il pellegrinaggio “primitivo” (com’è nel gergo dei pellegrini) che prevede lo zaino in spalla e la sosta negli ostelli (in spagnolo sono gli “albergue”, dove ci si ritrova a lavarsi e fare il bucato con gente proveniente da tutto il mondo), è fattibile anche in modalità più “comoda”. Lo zaino si può affidare a furgoni che lo porteranno all’ostello (normalmente a circa 25 chilometri) dove si trascorrerà la notte successiva, e così viaggiare leggeri, con la sola indispensabile borraccia dell’acqua. E non solo: si può, solo volendolo, dormire dopo il cammino nei tradizionali alberghi, numerosi lungo il percorso, anche di quattro o cinque stelle. È questione di scelta, che consente però di partecipare anche a pellegrini che non possono camminare otto ore con dieci chili sulle spalle.

Spiritualità, solidarietà, immersione nella natura, dolore e fatica, fanno il Camino de Santiago. E giunti a Catania, certamente stanchi e desiderosi di una lunga dormita, i “nostri” quindici avevano già deciso: il prossimo anno si replica. Allora “Ultreja” a Gaetano La Speme, il frate Provinciale, ovvero il capo dei monaci francescani della Sicilia sud-orientale, i suoi confratelli Corrado Cavarra e Nino Contastino, Roberto Sottile, Pinella Cavarra, Daniela Celestre, Cinzia Baiamonte, Nunzio Falcone, Angela Messina, Marco e Niccolò Monterosso.

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Autore

Nato a Ragusa nel 1964 è giornalista pubblicista dal 1990. Collabora con diverse testate giornalistiche, della carta stampata quotidiana e periodica, online e televisive, occupandosi principalmente di cultura e costume. Laureato in Scienze Politiche indirizzo storico, tiene numerose conferenze intorno al territorio ibleo.



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