Pubblicato il 13 Novembre 2018 | di Redazione
0“In Rete… Senza Rete” – Dipendenza da Internet e Social Network nei giovani
Scuole Medie e Superiori – Comunità Parrocchiali
Trattare un tema delicato come quello della dipendenza non è semplice, perché presenta moltissime sfaccettature ed elementi da tenere in considerazione. I Percorsi (in)formativi di prevenzione cercheranno di definire il concetto di dipendenza patologica, esaminando quelle più diffuse e le caratteristiche delle alterazioni del comportamento.
Trasgredire le regole, soprattutto in giovane età, può essere considerato naturale. Tuttavia, se certi atteggiamenti diventano abitudini, questo potrebbe portare ad una serie di disagi, causando squilibri fisici e cognitivi.
Dipendenza patologica: una definizione
Per dipendenza intendiamo un’alterazione del comportamento che da semplice o comune abitudine diventa una ricerca esagerata e patologica del piacere attraverso mezzi o sostanze o comportamenti che sfociano nella condizione patologica.
Volendo riportare la definizione di dipendenza patologica OMS, questa è: “Quella condizione psichica e talvolta anche fisica, derivata dall’interazione fra un organismo vivente e una sostanza tossica, e caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni, che comportano sempre un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico allo scopo di provare i suoi effetti psicologici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione”.
Una dipendenza può essere:
Fisica, quando l’organismo del soggetto che abusa di una determinata sostanza aumenta la sua soglia di tolleranza nei confronti della stessa, richiedendone dosi sempre più massicce per ottenere lo stesso effetto;
Psichica, talvolta accompagnata da malessere corporeo, ed è legata ad una voglia assoluta di utilizzare quella determinata sostanza, di cui non si riesce a fare a meno. Si può essere dipendenti da droga, alcol, gioco, tabacco o anche da internet e social network.
Caratteristiche e sintomi comuni
Nonostante esistano diversi tipi di dipendenze patologiche da sostanze, la psicologia ha definito una serie di sintomi comuni, di natura cognitiva, comportamentale e fisiologica.
A prescindere dal tipo di sostanza, le dipendenze patologiche presentano un insieme di comportamenti caratteristici riassumibili in questi punti:
Perdita della capacità di controllo sull’abitudine, che porta ad un utilizzo smodato della sostanza che crea dipendenza. Questo comporta un uso prolungato ed eccessivo, che sfocia nel “craving”, definibile come un intenso desiderio della sostanza che può manifestarsi in qualunque momento, anche se avviene con maggior probabilità dopo uno stimolo associato alla stessa;
Utilizzo rischioso della sostanza, alterando il proprio stato psico-fisico. Il soggetto colpito da dipendenza consuma la sostanza in situazioni potenzialmente pericolose per sé e per gli altri, come ad esempio mentre si è alla guida;
Ritiro dalla vita sociale: la dipendenza patologica compromette lo svolgimento dei compiti giornalieri, così come i rapporti interpersonali. Spesso chi soffre di dipendenza da droghe o altre sostanze tende ad isolarsi da famiglia e amici.
Cause e fattori di rischio
Parlando di dipendenze patologiche e cause, possiamo dire che queste possono avere diversa natura, da quella psicologica a quella genetica.
In generale, sembra proprio che i giovani tra i 14 ed i 24 anni abbiano, rispetto alle altre fasce d’età, una maggior incidenza nell’utilizzo di sostanze che creano dipendenza.
Le cause della dipendenza patologica sono da ricercare in:
Fattori biologici, legati ad un’alterazione della produzione di neurotrasmettitori endogeni;
Fattori sociali, legati alla situazione socio-economica della famiglia, l’esposizione a fonti di stress e la familiarità con dipendenze di qualunque entità;
Processi di apprendimento.
Tipi di dipendenze
Vediamo ora quali sono i tipi di dipendenze patologiche più diffuse:
Dipendenza da sostanze: in questa categoria rientrano, ad esempio, l’alcolismo e la dipendenza da droghe, siano esse leggere o pesanti;
Dipendenze di natura comportamentale, come il gioco d’azzardo e lo shopping compulsivo;
Dipendenze tecnologiche, come quella da internet o dai social media.
La dipendenza da sostanze stupefacenti è una delle più note e diffuse. In questo caso, il soggetto fa uso di sostanze come alcol o droghe più o meno pesanti, dagli oppioidi all’eroina. In generale, la causa che spinge le persone a usare queste sostanze è la voglia di vivere un momento di massima euforia e piacere, con tutti i fattori di rischio correlati al fenomeno.
La dipendenza da gioco d’azzardo o ludopatia è molto più diffusa di quanto si pensi. Si tratta, infatti, di una delle prime forme di dipendenza non legata alla droga. Questa forma di dipendenza è correlata all’atto del gioco compulsivo, che diventa una vera e propria ossessione.
I percorsi si soffermeranno in particolare sulla dipendenza da Internet e dai Social Network, sorta in seguito all’introduzione di tecnologie sempre più sofisticate. Alla luce di questo, possiamo definire l’Internet Addicition Disorder come l’ossessione di voler condividere la propria vita sui social media o l’attività compulsiva di navigazione sul web, che può provocare una vera e propria alienazione dal mondo “reale”. Da questa dipendenza piuttosto diffusa scaturiscono alcune devastanti realtà collegate.
Il gioco preferito dai ragazzi? Sfidare la morte
Rischiare la vita senza un apparente motivo. In maniera volontaria. Ancora meglio se di fronte c’è un pubblico di persone che non attendono altro. Sembra essere questo il nuovo sport degli adolescenti e dei giovanissimi in genere. Ma dietro a questa tendenza si nasconde qualcosa di più profondo. Non è facile indagare sui motivi: noia, perdita di valori, incoscienza dovuta all’età, troppi stimoli provenienti da un mondo (come quello social) che impone ogni giorno nuove sfide. Forse un mix di tutto questo. Perché non può essere un caso che i comportamenti estremi – e altamente pericolosi – con protagonisti dei ragazzi si stiano affacciando alle cronache tutti assieme. Ci deve essere un ragione. Sta di fatto che, sempre più di frequente, assistiamo al diffondersi di fenomeni che portano soprattutto i minorenni a sfidare la sorte, cercando il brivido a tutti i costi. Tentativi che, in alcuni casi, li conducono alla morte.
La “balena blù” spaventa l’Europa
Blue Whale, DaredevilSelfie, Chem Sex. Nomi diversi, tipologie di rischio differenti, ma accomunate dalla scellerata voglia di dimostrare qualcosa: coraggio, prestanza fisica, comunanza con i valori di una community. Peccato che il risultato sia, molto spesso devastante. È un vero e proprio allarme quello che si sta propagando a macchia d’olio in tutta Europa. La minaccia più recente si chiama “balena blù”, anche se non c’è nessun animale a mettere a repentaglio la vita di qualcuno. Al contrario, sono direttamente i ragazzi a scegliere di togliersi la vita. Sembra assurdo ma è proprio così. Un viaggio a tappe verso l’orrore che ha portato alla morte più di cento giovani in appena sei mesi.
Andare volontariamente incontro alla morte, in meno di due mesi.
Un “gioco” che parte dalla Rete, dai social network, ma che poi si trasferisce tristemente nella realtà. Una sorta di via crucis in 50 tappe (una al giorno) che impone agli adolescenti – controllati da un “custode” virtuale e osservati dagli altri utenti via webcam – di avvicinarsi lentamente alla morte, alzando sempre di più il tiro – con continui episodi di autolesionismo – fino all’atto finale: il suicidio. Un modo per farlo in maniera spettacolare. Una pratica nata in Russia – attraverso il social VKontakte (una specie di Facebook molto usato da quelle parti) – che in pochi mesi ha visto decine di utenti togliersi la vita. E che ora sta sbarcando anche in altri Paesi europei.
I selfie estremi hanno ormai contagiato gli adolescenti
Sempre dalla Russia e, ancora una volta, grazie alla complicità di Internet arriva un’altra pericolosissima moda. Stavolta tutto ruota attorno a uno dei gesti diventati ordinari nella vita di ogni ragazzo (e non solo): il selfie.
Ma c’è autoscatto e autoscatto. Perché il DaredevilSelfie – questo il nome del fenomeno, che letteralmente si traduce in “selfie temerario” – trasforma il concetto fino a renderlo estremo.
E nonostante sia stata inventata da un professionista (il freeclimber Alexander Remnev) ha nel tempo contagiato milioni di ragazzi in tutto il mondo. Anche in Italia.
Per condividere la propria impresa si gioca con la vita
Per immortalarsi in pose pericolose non ci sono confini: grandi altezze, dirupi, stazioni dei treni e della metropolitana mentre arrivano i convogli, edifici abbandonati, auto e moto in corsa. E gli effetti iniziano a farsi sentire. Dal 2014 sono più di 150 le persone morte nel mondo per un selfie. Qui da noi, dall’inizio dell’anno, sono già due i ragazzi deceduti (eguagliando dopo solo quattro mesi il dato del 2016) e molti altri ci sono andati davvero vicini; solo la sorte ha voluto il contrario. Ma perché i ragazzi fanno questo? Skuola.net lo ha chiesto direttamente a loro e le risposte sono state piuttosto inquietanti. Innanzitutto perché più di 1 su 10 ha confessato di aver provato un selfie estremo almeno una volta, nonostante fosse ben conscio del pericolo. Quasi tutti, poi, non avevano un motivo particolare per farlo: giusto per provare. Se non quello, comune alla maggioranza, di condividere online la propria impresa: lo fanno regolarmente i tre quarti dei selfisti temerari.
Hikikomori e social withdrawal
L’ Hikikomori è un fenomeno riscontrato tra gli adolescenti, che consiste nel ritiro fra le mura domestiche e la mancanza di qualunque rapporto sociale.
Con il termine Social withdrawal si intende una condizione sociale caratterizzata prevalentemente da sentimenti di solitudine, isolamento, ritiro dalla società e dalle relazioni interpersonali. Nelle società nipponiche questo fenomeno si configura con l’espressione Hikikomori che deriva dal verbo Hiku (tirare indietro) e Komoru (ritirarsi) ed indica una sindrome sociale che va diffondendosi ormai in maniera critica e capillare.
Il termine Hikikomori è stato formulato dallo psichiatra Saito Tamaki, direttore del dipartimento psichiatrico dell’Ospedale Sofukai Sasaki di Chiba, non lontano da Tokyo, negli anni Novanta del secolo scorso, per riferirsi al fenomeno di persone che hanno scelto una condizione di autoreclusione permanente al fine di ritirarsi dalla vita sociale. Il ministero giapponese della salute definisce Hikikomori gli individui che rifiutano di uscire dalla casa dei genitori, isolandosi nella propria stanza per periodi superiori ai sei mesi, con la possibilità che la permanenza in autoreclusione si prolunghi per un numero non breve di anni, in una condizione di stabile dipendenza economica dalla famiglia. Essi sono soliti pranzare e cenare nella propria stanza con un vassoio passato dal genitore attraverso la porta appena socchiusa e si recano in bagno con percorsi che, per tacita intesa familiare, vengono lasciati il più possibile non frequentati. Si interrompe ogni rapporto con il mondo della scuola, dell’università o del lavoro.
Oltre a questi ci sono poi altri rischi: i social media sono infatti terreno d’incontro con sconosciuti, anche tra i ragazzi di terza media e chi ne frequenta almeno tre aumenta il rischio di assumere stili di vita più pericolosi. Chi lo ha fatto vorrebbe apparire più grande, fuma e beve di più (il 21% si è ubriacato). Chi invece non ne frequenta nessuno ha abitudini più sane. Secondo l’indagine, fatta su scala nazionale, il 16,8% dei giovanissimi ha inviato una foto a sconosciuti, il 24,7% gli ha rivelato la scuola che frequenta, l’11,6% si è incontrata con lui, il 5,2% ha accettato proposte di sesso online. E anche se solo il 15% degli intervistati ammette di aver postato un proprio selfie provocante, il 48% afferma di avere amici che lo hanno fatto. Secondo una recente indagine della Società Italiana di Pediatria nella generazione cresciuta con i “like” regna insoddisfazione per il proprio aspetto fisico: 6 su 10 vorrebbero essere più magre e magri.
Come gestire il rapporto che hanno giovani e giovanissimi con i social network? “Il problema non è l’uso, ma l’abuso. È difficile dettare regole di comportamento dal momento che la stragrande maggioranza degli adulti non ha idea di come si sviluppa la socialità sui nuovi media, di come si strutturano le relazioni e non conosce il linguaggio utilizzato. Se vogliamo utilizzare correttamente gli strumenti che il progresso ci mette in mano dobbiamo allora essere i primi a metterci nei panni degli altri, e cercare di portare rispetto nei confronti di chi ci sta intorno, come se fosse fisicamente accanto a noi. Perché, seppur virtuale, è comunque un mondo fatto di persone vere con sentimenti, persone che potremmo ferire con gesti e parole presi troppo alla leggera. I social network sono mondi paralleli, mondi in cui ognuno di noi può essere chi vuole: se stesso o una persona completamente diversa. In questo mondo parallelo possiamo decidere noi con chi comunicare e con chi relazionarci, a partire dalle persone che frequentiamo nel mondo reale per finire alle persone che forse non incontreremo mai.
Don Giorgio Occhipinti
Direttore Ufficio Pastorale della Salute