Pubblicato il 11 Dicembre 2018 | di Redazione
0Incarnazione e pastorale ecclesiale. Favorire l’incontro tra l’uomo e Dio
Il Natale racconta di un Dio che si è incarnato, è diventato uomo come noi e ci ha aperto la strada verso il Cielo, verso la comunione piena con Lui. Egli si è immerso nella storia assumendo su di sé la fatica e il peso della vita umana. Sant’Ireneo di Lione riconosce che con la sua venuta il Figlio di Dio ci fa partecipi della sua vita filiale: “questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio” (cfr CCC 460).
L’incarnazione del Verbo eterno del Padre è frutto dell’amore di Dio per l’uomo: “in questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per Lui” (1Gv 4,9). Il Cristo, che si è fatto veramente uomo, rimanendo veramente Dio, “parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con loro, per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé” (Dei Verbum 2).
Scegliendo di incarnarsi, Dio rivela se stesso e il suo messaggio in un linguaggio adatto agli uomini. Il Concilio Vaticano II afferma che “con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo … egli si è fatto veramente uno di noi” (Gaudium et Spes n. 22).
È per questo motivo che “chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo” (Gaudium et Spes n. 41). In Gesù ci viene manifestata non solo la parola ultima e definitiva su chi è Dio, ma anche su chi è l’uomo. Il Cristo, affermano i padri conciliari, è colui che “svela l’uomo all’uomo”, soprattutto il suo valore, la sua dignità e la sua straordinaria vocazione.
È compito di una pastorale ecclesiale, che si ispira alla Incarnazione, servire l’uomo, favorire il suo incontro con Dio, accompagnarlo nella ricerca del senso da dare alla sua vita e impegnarsi per il riconoscimento dei suoi diritti e nella costruzione del bene comune.
Entrando nel tempo e dentro la storia, il Figlio del Padre fa sentire la prossimità di Dio verso ogni uomo e, attraverso la via della kenosis, dell’abbassamento e dell’umiliazione, manifesta l’amore umile di Dio e la profonda condivisione dell’esperienza umana, che egli ha assunto per poterla redimere. L’apostolo Paolo nella seconda lettera ai Corinti scrive che Cristo “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9).
La vicinanza e l’incontro costituiscono la modalità in cui Dio si è rivelato nella storia ed è andato incontro al suo popolo. Essa ha trovato nella povertà solidale di Cristo la massima espressione, perché “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14).
La via di Gesù non può che essere anche la via della Chiesa, che non può fedelmente svolgere la sua missione senza prossimità di vita, partecipazione intima e condivisione totale con la gente.
È però decisivo, innanzitutto, essere cristiani e comunità toccati da Dio, credenti e credibili, dallo sguardo attento e profondo. “Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini” (card. Ratzinger, L’Europa nella crisi delle culture, Cantagalli 2005, p. 28).
Papa Francesco nella Evangelii Gaudium invita le Comunità a diventare più missionarie e raccomanda “che la pastorale ordinaria, in tutte le sue istanze, sia più espansiva e aperta, e che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di uscita e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia” (n. 27)
Ogni Comunità parrocchiale, facendo proprio il criterio dell’Incarnazione, che è prossimità e coinvolgimento, deve lasciarsi interpellare dalle necessità della gente del territorio, mettendosi in ascolto e promovendo solidarietà, fraternità, desiderio di bene, di verità e di giustizia. Essa dovrà continuamente nutrire e curare con attenzione i credenti più vicini, che collaborano con essa direttamente, ma dovrà anche superare la frammentazione degli interventi e la chiusura, di fatto, del rapporto con la gente che non frequenta e che non collabora stabilmente. Nulla nella vita della gente, eventi lieti o tristi, deve sfuggire alla conoscenza e alla presenza discreta e attiva della parrocchia, fatta di vicinanza, condivisione e cura. Occorre che ci si preoccupi di annunciare l’essenziale della fede a tutti e puntare di più sul primo e sul secondo annuncio, ispirandosi al kerygma.
La parrocchia è chiamata a spostare il baricentro pastorale dai contenuti alle relazioni interpersonali, intergenerazionali e di prossimità. Prima di tutto ci sono le persone, dopo le cose e le attività. Ci sono, soprattutto, le relazioni: lo scambio dei contenuti è più facile che avvenga all’interno delle relazioni tra persone. Occorre favorire, sia nell’animazione dei gruppi, sia nei cammini formativi, sia nella celebrazione, il coinvolgimento attivo delle persone, superando una pastorale tesa esclusivamente a creare appartenenza e molto meno a generare la fede. La pastorale non può mai dimenticare che all’inizio della fede c’è l’incontro con Gesù. La finalità ineludibile della Pastorale è “mediare” tale incontro.
Sebastiano Roberto Asta