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Pubblicato il 28 Gennaio 2019 | di Mario Cascone

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I giovani e il senso perduto della vita

Secondo molti sociologi i giovani del nostro tempo sono passati da una dimensione di “processo” ad una di “condizione”, ossia da una dimensione dinamica, caratterizzata da un itinerario che procede verso un esito prevedibile, ad una situazione di attesa dall’esito incerto.

Quella dei giovani oggi appare come una condizione carica di insicurezza, incertezza, stasi, difficoltà a progettare il futuro. Molti giovani si sentono insicuri nei loro orientamenti di vita, per cui stazionano in una condizione precaria, senza riuscire a decidere per il loro domani. Solo nella famiglia vedono ancora una sorta di “nido accogliente”, per cui non se ne vogliono distaccare. Si registra così il “lungo abbraccio con i genitori” da parte di figli anche ultra-trentenni, che fanno fatica ad assumersi le loro responsabilità di adulti.

In secondo luogo i nostri giovani oggi non appaiono come figli dei bisogni, ma dei desideri. Sono avviluppati nella morsa spietata del consumismo e vengono sedotti dal meccanismo perverso della produzione-consumo, per il quale si produce per consumare e si consuma per tornare a produrre. Questo è un meccanismo che si riproduce continuamente, alimentando anche bisogni fittizi o artificiali. Il giovane è la “spugna” che assorbe più facilmente questo perverso sistema, tipico del capitalismo più selvaggio.

In passato, i desideri erano limitati dai bisogni, anche da quelli primari (come il cibo). Su questa base di povertà materiale si vivevano i desideri e i progetti per il futuro come sogni. Oggi questi margini sono saltati, perché i giovani sono bersagliati da una miriade di possibilità e vengono stimolati continuamente secondo la logica del “rampantismo”, cioè dell’essere vincenti a tutti i costi. Il confronto e la competizione sono serrati, generando molta frustrazione in coloro i quali, per vari motivi, si sentono inferiori o perdenti. Tutto questo alimenta ulteriormente l’insicurezza e lo smarrimento, producendo di fatto una grossa crisi di senso.

Non ci sorprende, a questo punto, se nei confronti della questione del senso della vita si giunge alla malattia mortale, che è l’indifferenza, ossia la rinuncia a porsi la domanda stessa sul senso. Ci troviamo oggi di fronte alla perdita del gusto di cercare le ragioni profonde del vivere. In questo clima è predominante l’invito a non pensare più, a fuggire dalla fatica di cercare la verità. Ci si abbandona a ciò che appare immediatamente fruibile, a ciò che si può subito consumare.

La crisi di senso, che è generata dal tragico vuoto di verità, approda al relativismo etico, per il quale non ci sono valori forti, oggettivi, universali: tutto è convenzionabile, tutto è intercambiabile. Alle ragioni profonde del vivere si sostituisce la rivendicazione di ciò che è immediatamente utile e conveniente.  Su questa strada ci ritroviamo sempre più poveri di speranza e di grandi ragioni per vivere, correndo il rischio di precipitare nella decadenza esistenziale.

Come si può uscire da questa situazione? Anzitutto si tratta di confidare nel fatto che la questione del senso della vita è ineludibile: tutti se la pongono, anche coloro i quali dicono che la vita non ha alcun senso. In secondo luogo ognuno di noi non può non fare i conti con l’altro, che gli sta di fronte e che, come dice E. Levinas, “ci interpella e ci inchioda a delle responsabilità”. In fondo possiamo dire che le ragioni del vivere sono nella relazione con l’altro, che è persona da cogliere nella sua originalità, da rispettare e da valorizzare. Si ha un motivo per vivere quando si ha qualcuno da amare. Ecco perché Giovanni Paolo II diceva che la cosa più importante non è sapere “perché” vivere, ma “per chi” vivere.

Percorrendo questa strada non è difficile porsi la domanda dell’Altro con la “A” maiuscola. Essa è una domanda che in fondo ci interpella tutti: la domanda di Dio. Adorno e Horkheimer parlavano della “nostalgia del Totalmente Altro”, che c’è in ognuno di noi. Sant’Agostino confessava: “Tu ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”. Se è ineludibile la questione del senso, e se lo è anche quella del rapporto con l’altro, si può facilmente sostenere che è ineludibile anche la ricerca di Dio. C’è in ognuno di noi un insopprimibile bisogno religioso, che è un bisogno di fondamento, di senso, di orizzonti ultimi.

In questa direzione, che è quella della ricerca della verità, il cristianesimo ci dice che la verità non è un concetto, ma una Persona: la persona stessa di Cristo. Allo scetticismo di Pilato, che si chiede: “Che cos’è la verità?”, si oppone Gesù, che dice: “Io sono la verità”. È Lui la verità che dà senso alla vita, in quanto si manifesta come la verità di chi dona se stesso per amore. Ecco qual è il vero senso della vita: l’amore che si dona. E l’icona di un tale amore è Cristo!

Lo diciamo con le meravigliose parole che Giovanni Paolo II pronunciò di fronte a due milioni di giovani nella Giornata Mondiale della Gioventù del 2000 a Tor Vergata: «È Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna».

  Mario Cascone

 

 

 

 

 

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Autore

Sacerdote dal 1981, attualmente Parroco della Chiesa S. Cuore di Gesù a Vittoria, docente di Teologia Morale allo studio Teologico "San Paolo" di Catania e all'Istituto Teologico Ibleo "S. Giovanni Battista" di Ragusa, autore di numerose pubblicazioni e direttore responsabile di "insieme".



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