Pubblicato il 1 Febbraio 2019 | di Redazione
0La lezione ebraica di Etty Hillesum
Sembra quasi il paradosso che accompagna un popolo. Gli ebrei, popolazione dalla storia travagliata, vittime di ripetute e brutali persecuzioni, sembrano possedere un’attitudine mentale a vedere uno stesso testo, un avvenimento, un problema, da tutti i punti di vista, e a non considerarne uno meno serio di un altro. E il paradosso, la stranezza, il “ribaltamento dei ruoli e delle situazioni” sono appunto architravi dell’umorismo.
Ridere è un altro modo di piangere. Il comico non nasconde né banalizza la sofferenza, rendendo leggero il dolore, non lo attenua, ma gli mette ali. Tanti sono coloro che hanno scritto al riguardo: Moni Ovadia, Woody Allen e molti altri, ovvero come l’umorismo sia il modo di opporsi al dolore, quasi a ribadire la propria forza contro quanto incombe.
Luminosa è da considerarsi la figura di un’altra ebrea, Etty Hillesum, la cui grande spiritualità è un’arma per il male incombente. Siamo nel 1942 in Olanda e sulla giovane donna pende una condanna e, nonostante abbia la possibilità di salvarsi, decide forte delle sue convinzioni umane e religiose, di condividere la sorte del suo popolo. In quegli anni scrive il suo Diario. In un frammento molto significativo, scritto il 20 giugno 1942, in piena occupazione dell’Olanda, troviamo esemplificata tutta la sua profondità: «Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e “lavorare se stessi” non è proprio una forma di d’individualismo malaticcio».
Nella assurda bestialità della guerra, Etty trova nella sua spiritualità le forza per innalzarsi dall’abiezione. Il suo misticismo non la conduce alla contemplazione solitaria, ma a una solida percezione della realtà. Lei è in grado con l’energia della sua fede di vedere la realtà, sopportarla e trovarvi consolazione. La sua religiosità la porta verso una forma di “altruismo radicale” tanto che le ultime parole del suo Diario sono: «Si vorrebbe essere il balsamo per molte ferite».
Il suo universo di valori la porta a rivedere in un’ottica diversa le dinamiche della storia, della pace e della guerra. Il suo pensiero vola libero come la cartolina, che lancia dal treno che la porterà al campo di sterminio. La cartolina verrà raccolta da dei contadini, i quali la rispediranno. Abbiamo lasciato il campo cantando ciò che vi era scritto sopra. Il canto, l’ultima forma di pacifica lotta, l’estremo tentativo di elevazione di uno spirito immerso e al di sopra della realtà.
Donatella Ventura