Attualità

Pubblicato il 7 Febbraio 2019 | di Vito Piruzza

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Cento anni dopo cosa resta dell’appello ai liberi e forti di don Luigi Sturzo

«A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà».

Esattamente cento anni fa, il 18 gennaio 1919 questo appello segnava l’inizio della storia dell’impegno dei cattolici nella vita politica italiana, con la nascita del Partito Popolare Italiano, Luigi Sturzo suo primo segretario, non volle infatti, nonostante le pressioni identitarie accostare al sostantivo “partito” l’aggettivo “cattolico” ritenendo giustamente una contraddizione accostare un termine che richiama “l’universalità” con uno che dichiara la “divisione”.

L’unità d’Italia con la conseguente frattura tra Stato e Chiesa e il conseguente non expedit aveva limitato i cattolici nella partecipazione alla vita politica del Paese riducendolo di fatto al solo livello locale (lo stesso Luigi Sturzo era prosindaco di Caltagirone), quando Papa Benedetto XV elimina questa interdizione trova un mondo cattolico profondamente radicato nella società tramite opere sociali (Società di Mutuo Soccorso, Casse Rurali, Opere Pie etc.) e presenti nel dibattito con l’Opera dei Congressi, ed infatti alle prime elezioni politiche il neonato Ppi ottiene il 20,5% dei consensi.

Un grande successo elettorale che trova la sua evidente motivazione proprio nella forza innovatrice contenuta nel suo manifesto fondativo.

Ecco infatti in apertura dell’appello il forte sostegno all’idea ancora in formazione della costituzione della Società delle Nazioni (che infatti nascerà sei mesi dopo e che poi dopo la seconda guerra mondiale diventerà l’Onu) come baluardo contro la conflittualità tra stati che «riconosca le giuste aspirazioni nazionali, affretti l’avvento del disarmo universale, abolisca il segreto dei trattati, attui la libertà dei mari, propugni nei rapporti internazionali la legislazione sociale, la uguaglianza del lavoro, le libertà religiose contro ogni oppressione di setta, abbia la forza della sanzione e i mezzi per la tutela dei diritti dei popoli deboli contro le tendenze sopraffattrici dei forti».

Ecco richiedere a gran voce «Le necessarie e urgenti riforme nel campo della previdenza e della assistenza sociale, nella legislazione del lavoro, nella formazione e tutela della piccola proprietà».

E poi rivendicare il principio di sussidiarietà, il decentramento amministrativo, la libertà di insegnamento, il Senato elettivo (all’epoca era di nomina regia) e poi anche il voto alle donne (per l’epoca un tabù), la riforma tributaria in senso progressivo, la colonizzazione del latifondo. Insomma un manifesto profetico in una società nel cui orizzonte si addensavano le cupe nubi del totalitarismo.

Espressione di una capacità di elaborazione culturale e di radicamento sociale di cui tanto c’era bisogno allora e ci sarebbe bisogno adesso, ma questa purtroppo è solo storia, non attualità.

                                                                                              Vito Piruzza

 

 

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