Pubblicato il 4 Marzo 2019 | di Redazione
0Quaresima di solidarietà con le fragilità
Il 6 marzo – Mercoledì delle Ceneri, inizia la Quaresima. È il «tempo forte» che prepara alla Pasqua, culmine dell’Anno liturgico e della vita di ogni cristiano. Come dice san Paolo, è «il momento favorevole» per compiere «un cammino di vera conversione» così da «affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male», si legge nell’orazione colletta all’inizio della Messa del Mercoledì delle Ceneri.
Questo itinerario di quaranta giorni che conduce al Triduo pasquale, memoria della passione, morte e risurrezione del Signore, cuore del mistero di Salvezza, è un tempo di cambiamento interiore e di pentimento che «annuncia e realizza la possibilità di tornare al Signore con tutto il cuore e con tutta la vita».
Nella liturgia si parla di “Quadragesima”, cioè di un tempo di quaranta giorni. La Quaresima richiama alla mente i quaranta giorni di digiuno vissuti dal Signore nel deserto prima di intraprendere la sua missione pubblica. Si legge nel Vangelo di Matteo: «Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame».
Quaranta è il numero simbolico con cui l’Antico e il Nuovo testamento rappresentano i momenti salienti dell’esperienza della fede del popolo di Dio. È una cifra che esprime il tempo dell’attesa, della purificazione, del ritorno al Signore, della consapevolezza che Dio è fedele alle sue promesse. Nell’Antico Testamento sono quaranta i giorni del diluvio universale, quaranta i giorni trascorsi da Mosè sul monte Sinai, quaranta gli anni in cui il popolo di Israele peregrina nel deserto prima di giungere alla Terra Promessa, quaranta i giorni di cammino del profeta Elia per giungere al monte Oreb, quaranta i giorni che Dio concede a Ninive per convertirsi dopo la predicazione di Giona.
Nei Vangeli sono anche quaranta i giorni durante i quali Gesù risorto istruisce i suoi, prima di ascendere al cielo e inviare lo Spirito Santo. Tornando alla Quaresima, essa è un «accompagnare Gesù che sale a Gerusalemme, luogo del compimento del suo mistero di passione, morte e risurrezione e ricorda che la vita cristiana è una “via” da percorrere, consistente non tanto in una legge da osservare, ma nella persona stessa di Cristo, da incontrare, da accogliere, da seguire».
La Quaresima è un tempo propizio per aprire la porta ad ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo. Ognuno di noi ne incontra sul proprio cammino. Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto e amore. La Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita e amarla, soprattutto quando è debole.
Inoltre ritengo personalmente che accogliere è “prendersi cura”, è sguardo attento e premuroso, è guardare alla persona e non solo ai suoi bisogni. Cfr. la parabola del Buon Samaritano (Lc 10,2-37). «Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23).
Nel “guarire” i malati Gesù rivela non solo la sua potenza, ma la sua condivisione delle infermità e delle malattie dell’uomo.
Nel cap. 8, Mt ci racconta tre episodi di guarigione: il lebbroso, il servo del centurione, la suocera di Pietro. Quindi presenta un sommario dell’attività di Gesù: «Venuta la sera», portavano da Gesù molti indemoniati ed «egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia (53,4): “Egli ha preso su di sé le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie”».
«Prendere – portare» più che la potenza di Gesù, dicono la sua dedizione, la sua partecipazione alle condizione dell’uomo fragile.
Oggi più che mai siamo invitati ad essere presenti accanto a chi sperimenta le fragilità, senza pregiudizi, paure e soprattutto indifferenza. «Non c’è sporcizia più grande di chi non vuole sporcarsi le mani con gli altri» (Tolstoj).
Don Giorgio Occhipinti