Pubblicato il 8 Novembre 2019 | di Saro Distefano
0La comunicazione tra simili
Dice Yual Boah Harari nel suo vendutissimo libro “Da animali a dei. Breve storia dell’Umanità” che la differenza tra i grandi mammiferi e l’uomo consiste fondamentalmente nel fatto che quest’ultimo è l’unico (a stare alla ricerca scientifica attuale) in grado di immaginare cose, pensieri, idee, storie non reali ma, appunto, immaginarie. Aggiunge poi l’accademico israeliano: questa capacità che parrebbe unica è utile solo e soltanto perché sempre questa grossa scimmia chiamata homo sapiens, è in grado di trasmettere ai suoi simili la cosa immaginata. Per farlo si avvale della parola che forma un ragionamento. Quel concetto che gli antichi greci sintetizzano con “logos”.
Parrebbe pure che nell’utilizzo di segni (fondamentalmente i fonetici, chè i grafici sono già un livello diverso e più alto) il sapiens non sia da solo. Altri mammiferi sono in grado di comunicare tra simili: lo fanno di certo le balene e i delfini (ed altri cetacei), lo fanno alcuni pipistrelli e parrebbe appurato che lo fanno anche alcuni molluschi.
Ma la parola, la parola è il tramite. Che se poi io, scimmia che ha perso gran parte del pelo epidermico ma ha aumentato di dimensioni il cervello, sono in grado di riprodurla non soltanto con i suoni prodotti dalle corde vocali ma anche con un pezzo di carbone sulla parete liscia di una antichissima grotta, allora quella mia parola rimarrà per secoli, per millenni, a tracciare la mia presenza, il mio passaggio sul pianeta e, nel caso la mia dovesse essere parola interessante e per sopramercato anche di accrescimento, allora sarò indiscutibilmente un sapiens.
La parola quindi, la comunicazione tra simili. Parrebbe scontato, non lo è per nulla. Perché si tratta di una capacità che è data geneticamente alla specie, ma che non è nulla, proprio nulla se non ci si esercita in tal senso. Tant’è che sono numerosi i casi documentati di individui appartenenti all’homo sapiens che (al netto da tipologie specifiche) non riescono a articolare una parola se non hanno mai frequentato altri simili, se non hanno mai parlato. Spiegato perché siamo certamente grosse scimmie senza pelo, ma con qualche elemento (anche, certamente, di ordine genetico) che ci rende diversi. Quella scintilla che ci rende animali sociali, esseri inutili senza il raffronto e il rapporto con l’altro.
Un dono divino? Una miracolosa serie di coincidenze biologiche ambientali? L’una e l’altra cosa? Quello che appare evidente è il risultato della recentissima (si parla di circa 250.000 anni, ovvero un fiat nella storia del pianeta) evoluzione del sapiens che oggi è indiscutibilmente padrone del suo destino e, a scorno di tutti gli altri esseri viventi, anche del pianeta sul quale vive. Quella parola che gli ha permesso di sviluppare un cervello fantastico, capace di tutto, che lo ha posto al vertice della piramide raffigurante la vita sul pianeta, quella parola deve essere custodia, curata, moderata, usata al meglio e a favore di tutti. Non parrebbe, questa, la raffigurazione attuale di una specie impegnatissima a fare di quella parola una leva potentissima per sollevare tutto il peggio di se stessa.