Pubblicato il 27 Novembre 2019 | di Redazione
0Omelia: come preparane una che parli al cuore
«L’omelia deve essere ben preparata, deve essere breve»: questo l’invito di papa Francesco durante un’udienza generale, nella quale, all’interno del ciclo di catechesi dedicato al significato della Messa, rifletteva sul Vangelo e sull’omelia.
«Mi diceva un sacerdote – ha continuato il Papa – che una volta che era andato in un’altra città dove abitavano i genitori, il papà gli aveva detto: sai, sono contento perché con i miei amici abbiamo trovato una chiesa dove si fa una Messa senza omelia!». «Quante volte vediamo – ha proseguito papa Francesco – che durante l’omelia c’è chi si addormenta, altri chiacchierano, o si esce fuori a fumare una sigaretta. Ecco, tutti lo sapete!».
«Quindi sia breve l’omelia, sia ben preparata», ha ribadito. «E come si prepara? Con la preghiera, con lo studio della parola di Dio», facendo «una sintesi chiara e breve. Non deve andare oltre i 10 minuti, no». Inoltre l’omelia, sempre secondo il Papa, deve essere tale da permettere che la buona notizia, la parola di Dio possa entrare dalle orecchie, arrivare al cuore e poi alle mani per fare le opere buone.
Come cerco di applicare nel mio ministero queste direttive di Papa Francesco? Mi domando questo, non perché possa essere di esempio ad altri, ma perché la mia esperienza è ciò che posso trasmettere.
Anzitutto, aiutando me stesso ad essere un uditore attento della Parola. All’interno della secolare tradizione della lectio divina. Così, insieme con la mia fraternità e poi con alcuni parrocchiani, il lunedì faccio lectio sul Vangelo della domenica successiva (cosa dice il brano?). Seguendo le indicazioni tipiche, cerco di fare attenzione alle diverse parti in cui il brano può essere diviso, al genere letterario, al sistema dei personaggi (cosa fanno, che vissuti provano, come si relazionano, le loro evoluzioni), al contesto immediato e al messaggio centrale. Inoltre tento di capire quali parti del cuore la Parola illumina e quale progetto formativo-terapeutico il Signore sta portando avanti.
Il martedì entro nel brano immaginando di essere un contemporaneo di Gesù e “dialogo” con Lui e con gli altri eventuali personaggi del brano. In pratica, integro i suggerimenti di Sant’Ignazio di Loyola all’interno del metodo tradizionale della lectio divina. Non vedo, al contrario di altri, opposizione tra le due cose. Il mercoledì consulto qualche commentario.
Il giovedì mi prendo un po’ di tempo per meditare sul brano (cosa mi dice? In che modo ha a che fare con la mia vita?). Il venerdì per pregare su di esso. Mentre il sabato cerco di custodire nel cuore quella parola, quell’immagine, quel sapore che di più mi ha lasciato (contemplazione-assimilazione). La domenica faccio l’omelia, per dirla con San Francesco, con brevi e semplici parole: domandandomi sempre, come insegnava don Bosco, se mia mamma (sesta elementare) capirebbe.
Nel parlare alle persone sto attento ad evitare letture e trasmissioni della Parola colpevolizzanti e demoralizzanti. In altri termini, tengo presenti alcuni principi basilari: sostenere i processi di crescita e non, invece, scoraggiare le persone, guardare con simpatia e cordialità me stesso e gli altri uditori pur nella consapevolezza di essere peccatori, trasmettere fiducia nel potere intrinseco della Parola e non nei nostri sforzi di essere all’altezza. È vero: noi non siamo in grado di vivere la Parola, ma se la custodiamo con interesse nel cuore, essa è ben capace di vivere e di agire in noi: lentamente trasformandoci. La Parola, infatti, per virtù sua, opera in noi credenti (I Tes 2,13) e contiene una forza esplosiva capace di salvare e guarire (Rm 1,16).
Insomma, tra lectio divina (attenzione alla Parola) e lectio humana (attenzione al cuore umano), penso sempre di evitare quel che si racconta di quel prete che dopo aver letto il Vangelo, avendo fretta di dare alcuni messaggi ai suoi parrocchiani, in buonissima fede disse: “Bene. Ora vi dico io alcune cose importanti!”.
Un’ultima annotazione. Mi sembra utile periodicamente chiedere pareri a chi ascolta. Non per avere conferme, ma per ricevere feedback illuminanti. Che aiutino anche a correggere la rotta della predicazione. Le critiche sono certamente le benvenute. Perché non sappiamo mai veramente quello che abbiamo detto se non dopo le restituzioni di chi ci ha ascoltati: tutti i contenuti sono sempre dentro relazioni vitali.
Nello Dell’Agli