Pubblicato il 18 Dicembre 2019 | di Agenzia Sir
0Nell’Amore il vero senso del presepe
Chissà se San Francesco, quando ebbe l’idea di inventare il primo presepe vivente, nella notte di Natale del 1223 a Greccio, intuì che la sua creazione avrebbe potuto generare infuocate polemiche ed effervescenti dibattiti. Sono convinto che proprio da lui bisogna tornare. San Francesco non ha ideato il presepio per fini culturali e non lo ha inteso come un simbolo generico di una qualche cultura. Il primo presepio nasce dal vivissimo desiderio di Francesco di contemplare il mistero della nascita di Gesù: il desiderio ardente di vedere da vicino lo straordinario evento di Dio che si fa uomo. Insomma, il presepe di San Francesco è tutto centrato su Gesù Cristo, il “caso serio” della storia dell’umanità che ne spezza in due il corso. Ma, insieme a questa devozione al Dio che si fa uomo, il “poverello di Assisi” ha un’attenzione del tutto straordinaria per gli ultimi e per i poveri, tanto che la carità verso i diseredati e gli emarginati è fiamma viva dell’azione di Francesco e dei suoi fraticelli (ieri come oggi).
In lui, ideatore del presepio, la contemplazione del mistero della nascita di Gesù va di pari passo con l’attenzione nei confronti dei “lebbrosi” del proprio tempo. Non ci può essere l’una senza l’altra. Per questa serie di considerazioni, allora, trovo fatalmente sterile le diatribe che si aprono attorno al presepio. Se fare il presepio – come suggeriva San Francesco – aiuta ad avvicinarci a Gesù e ad intuire qualcosa dello straordinario evento della nascita di Dio tra gli uomini, allora ben venga! E questo deve spontaneamente tradursi anche in un’attenzione del tutto evangelica verso gli altri, gli ultimi, i bisognosi, perché il senso di tutta l’esistenza di Cristo – che si contempla nel presepio – ruota attorno alla parola “amore”, che è l’essenza di Dio stesso. Se invece il presepio si impiglia tra i simboli della cultura e della tradizione occidentale – fosse anche quello più splendido dal punto di vista artistico! –, siamo a rischio di mancare il bersaglio. Se si considera il presepio semplicemente come un “simbolo culturale”, il cristianesimo si muta in una “religione civile”.
Nulla della vita di Gesù ci permette di considerare la sua esistenza come religione civile o tranquillizzante tradizione umana: le parole e i gesti di Gesù sono un continuo appello alla conversione, al cambiamento, alla trasformazione, alla dinamicità del seme che muore per portare frutto, all’uscita dalle sicurezze verso la novità della volontà di Dio. Insomma non basta fare il presepio per dirci cristiani: bisogna coglierne l’anima e le conseguenze etiche che esso comporta. Facciamo il presepio, allora, e il più possibile bello e intrigante, ma – per favore – non fermiamoci allo struggimento del “clima natalizio” o alla “magia del Natale”: andiamo piuttosto in profondità, riscoprendo l’anima e il profumo evangelico del presepio. Come nell’intuizione originaria di san Francesco. Come nelle parole di papa Francesco.
Alessio Magoga