Pubblicato il 13 Gennaio 2020 | di Redazione
0Comunità e cura dei beni comuni per ricostruire la città dell’uomo
Giuseppe Lazzati pubblicava nel 1984 “La città dell’uomo. Costruire, da cristiani, la città dell’uomo a misura d’uomo”. Lazzati sosteneva il significato e il valore di un impegno cui ogni uomo, in un modo o in nell’altro, non può sottrarsi: «Dire “città dell’uomo a misura d’uomo” – scriveva il rettore della Cattolica – è fissare l’attenzione sull’uomo dal quale la città prende vita e verso il quale la città è volta come a proprio fine».
La città dell’uomo non è né una città da interpretare secondo i criteri della cristianità, né una città totalmente separata dalla fede e dalla religiosità; è una realtà umana avente per fine il bene comune, la quale chiede ai suoi abitanti l’impegno alla costruzione. «L’uso del termine “costruire” esprime un’azione che è frutto di molti e diversi apporti (…), espressivo di un lavorare insieme che esige coscienza di quello che si fa e impegno a farlo nel modo migliore». La selezione delle parole e dei concetti aveva un preciso fine: l’urgenza operativa. E per lo stesso fine, quelle pagine restano in qualche modo affidate a noi, anche a più di trent’anni di distanza. In un contesto del tutto diverso ma che in qualche modo fa ancora i conti con gli esiti di crisi molteplici e connesse tra loro.
La memoria diviene prospettiva; oggi più che mai la città non è solo uno spazio urbano ma anche il luogo delle relazioni, della cittadinanza, dell’inclusione o dell’esclusione, delle opportunità o delle ingiustizie, della solidarietà o dell’egoismo, della paura o della fiducia. Da qui l’urgenza e l’intenzione di affinare lo sguardo e raccontare al meglio la città umana, consapevoli che la qualità del racconto è di per sé un aiuto a farla crescere. Diviene necessario saperlo fare insieme a quanti hanno concezioni diverse dell’uomo; insieme, in un forte patto generazionale tra la generazione dell’impegno – che ha assaporato i pensieri di Lazzati – la generazione dell’identità e della transizione fino a coinvolgere i millennials; insieme, donne e uomini. Insieme, nel pluralismo degli esseri umani di cui Lazzati è profondamente conscio. Ancora una volta la parola chiave pare essere Comunità. Dal volontariato all’impegno politico, dall’ambiente alla formazione, si rende urgente lavorare per ricostruire il tessuto comunitario.
Due piste appaiono utili per recuperare il neo-progetto lazzatiano. La prima è sicuramente l’indicazione di Papa Francesco per la Giornata delle Comunicazioni sociali 2019: è necessario operare per passare “dalle community alle comunità”, riscoprire quelle interconnessioni della vita sociale della città che i social possono favorire e che attualmente sono più tentati a distruggere. «Quello che vediamo emergere rapidamente – scrive il Papa – è un bisogno di comunità (…) È importante passare da community fondate su relazioni fasulle, su una falsa rappresentazione della realtà, su finte amicizie che si possono cancellare con un clic, alla bellezza – e anche alla fatica – della verità e dell’incontro».
La seconda è di sicuro la cura dei beni comuni e l’esperienza innovativa dell’amministrazione condivisa. Questa prospettiva di pensiero e di azione consente di strappare i cittadini fermamente radicati al loro “particolare” interesse. Cosa sono i beni comuni? Sono beni materiali ed immateriali di proprietà privata o pubblica destinati alla collettività e quindi comuni che, se valorizzati, arricchiscono tutti. Sono l’acqua, l’aria, lo spazio, l’energia, la biodiversità, il territorio e il paesaggio, i mari, i fondali e le coste, le risorse agroalimentari, i beni artistici e culturali, i saperi ed in particolare le scoperte scientifiche, la letteratura e le arti, la salute e l’istruzione.
La politica – a differenza degli anni ’80 – non si esaurisce nei partiti e nelle istituzioni: si aprono spazi nei quali i cittadini possano esprimersi e decidere. La cura dei beni comuni equivale, quindi, alla cura delle città e delle persone che le abitano. Questo appare un esercizio concreto della sussidiarietà orizzontale, tanto cara alla dottrina sociale della Chiesa; un esercizio per generare coesione sociale, senso di appartenenza, saldi legami di comunità, sviluppo locale, rigenerazione urbana, i quali rafforzano la comunità sociale e creano vantaggio competitivo. Una via praticabile per creare economie circolari e richiamare la capacità abilitante delle istituzioni. Che sia attiva, distratta o solo incuriosita, la cittadinanza passa per la cura dei beni comuni.
Conoscere l’intima novità e pienezza del messaggio cristiano non dava, secondo Lazzati, al credente, quasi per mistica effusione, la competenza per impostare e risolvere a misura d’uomo i problemi della città. Tale competenza va piuttosto continuamente costruita nella formazione. Città e formazione saranno oggetto di riflessione all’interno della nostra Chiesa diocesana; lo auspichiamo con emozione e sentimenti di gratitudine, amplificando un vero e proprio appello alle comunità cristiane in questa direzione, nella prospettiva sempre intensamente mirata della Città celeste, della Nuova Gerusalemme.
Emanuele Occhipinti
Nel maggio del 1931, Lazzati partecipa ad un corso di Esercizi Spirituali predicati da P. Gemelli e da Mons. Olgiati, nei suoi appunti scrive:”Ho scelto come mio stato la vita del celibato. Sento ogni momento la grandezza e la sublimità di questa grazia di Dio giacché, grazie alla castità, potrò unirmi più a Lui, cui consacro anima e corpo, ed esercitare apostolato più largo ed efficace. Debbo però ricordare che su tale via si deve camminare nella preghiera continua e nel sacrificio. M’assista la grazia di Dio e la Mamma celeste”. Conseguenza di tale passo fu l’adesione ai Missionari della Regalità di Cristo. Questo Sodalizio, fondato da padre Gemelli nel 1928, accoglieva laici consacrati di varia estrazione socio-culturale, impegnandoli in un’intensa vita spirituale e dedizione apostolica, con particolare riguardo all’Università Cattolica e all’Azione Cattolica.
Nel 1934 comincia la carriera universitaria, nello stesso anno diventa presidente diocesano della «Gioventù Italiana di Azione Cattolica» (G.I.A.C.), manterrà l’incarico fino al 1945; dal 1939 è docente incaricato di letteratura cristiana antica alla Cattolica. L’adesione ai Missionari della Regalità s’interruppe nel 1938, con il passare del tempo, Lazzati si era convinto dei limiti di una consacrazione laicale finalizzata al diretto sostegno di alcune opere. A quel punto, sempre persuaso di mantenere fede al celibato per il Regno, incominciò una fase di ricerca in merito al da farsi, incontrando il paterno sostegno e incoraggiamento del card. Schuster. Già nella seconda metà del 1938 Lazzati andò maturando la decisione di dare vita a un nuovo Sodalizio denominato “Milites Christi”, che mosse i primi passi l’anno successivo. Su indicazione dell’arcivescovo, esso venne inquadrato come quarta famiglia della Congregazione degli Oblati di San Carlo. Prendeva così vita in diocesi un’altra esperienza di laici votati alla sequela radicale del Vangelo sulle strade del mondo.
Partecipa alla seconda guerra mondiale come tenente del 5º Reggimento alpini, divisione “Tridentina”, e dopo l’8 settembre 1943, avendo rifiutato il giuramento alla Repubblica Sociale Italiana, viene arrestato a Merano e internato nei campi di concentramento nazisti: prima a Rum nei pressi di Innsbruck, poi a Dęblin in Polonia, infine in Germania, a Oberlangen, Sandbostel e Wietzendorf.
Rientrato in Italia nell’agosto del 1945, è immediatamente coinvolto, con Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira, nell’opera di ricostruzione della vita civile del Paese, prima nella fase costituente, poi in quella più direttamente politica. Nel 1946 entra nella direzione nazionale della Democrazia Cristiana ed è eletto all’Assemblea costituente (1946-1948) e alla Camera dei deputati nella I Legislatura (1948-1953). Dopo il mandato parlamentare si trasferisce da Roma nella natia Milano, dove si dedica alla formazione del laicato, nel 1950 partecipa anche, con l’allora Mons. G.B. Montini, Arcivescovo di Milano e con il prof. e industriale Marcello Candia alla fondazione del Collegio studenti d’Oltremare; tale organizzazione si occupava dell’assistenza ai primi giovani che dalle missioni venivano inviati in Italia. Tale organizzazione si occupava dell’assistenza ai primi giovani che dalle missioni venivano inviati in Italia ma l’arrivo del nuovo arcivescovo Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI, lo porta ad accettare una serie di nuove diaconie, la più onerosa ed impegnativa delle quali è la direzione del quotidiano cattolico L’Italia (1961-1964).
Tornato all’insegnamento (aveva ottenuto l’ordinariato nel 1958) nel 1968, nel pieno della contestazione universitaria, è chiamato a sostituire Ezio Franceschini come rettore dell’Università Cattolica; carica che mantiene per cinque mandati triennali, fino al 1983. Affida la Direzione del Dipartimento di Scienze Religiose al suo ex-assistente Raniero Cantalamessa, ordinario di Storia delle origini cristiane. Per raggiunti limiti d’età, lascia la cattedra di Letteratura cristiana antica nel 1979 e gli succede il suo allievo, Luigi Franco Pizzolato.
Gli ultimi anni della sua vita sono dedicati, in una fase di grave crisi della politica italiana, al rilancio di un’idea alta della politica attraverso la fondazione dell’associazione «Città dell’uomo» (1985), i cui contenuti riprendevano quanto già proposto fin dal dopoguerra con “Civitas Humana”.
Muore a Milano il 18 maggio 1986, festa di Pentecoste, all’età di quasi 77 anni. Nel 1991 l’Istituto secolare Cristo Re si è fatto promotore della causa di beatificazione, di cui si è poi conclusa l’inchiesta diocesana nel 1996, grazie al sostegno e all’incoraggiamento del cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano. Il 5 luglio 2013 papa Francesco ha autorizzato la Congregazione per le Cause dei Santi a promulgare il decreto che riconosce le virtù eroiche del Servo di Dio Giuseppe Lazzati. Da quel momento Lazzati diviene Venerabile.