Politica

Pubblicato il 20 Gennaio 2020 | di Redazione

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È prossimità la parola-valore cui deve tendere la città del futuro

Dobbiamo partire da una  premessa:  la conoscenza del mondo, la possibilità di interpretare il tempo presente oggi è possibile  solo partendo dalla conoscenza della città. Il mondo può essere letto e compreso solo con gli occhi delle città, che si impongono come il luogo più adatto per  osservare ed interrogare il tempo presente e descriverne con realismo le dinamiche sociali, culturali, economiche, politiche e religiose.

La forza euristica delle città come chiave di lettura della modernità, è data dal fatto che nel tessuto urbano si concentra già ora e lo sarà ancora di più nel futuro prossimo, la maggior parte degli insediamenti umani, della forza dell’economia e della produzione culturale. Le città saranno il principale luogo generativo socio-culturale ed economico e religioso. «Il locale sarà il nuovo spazio dell’universale». Come aveva previsto Mumford, stiamo passando nella nostra storia comune, da una città che era il mondo, a mondo che è una città.

Secondo l’Un-habitat, che è un’agenzia specializzata dell’Onu, entro il 2050 il 70% dei 9 miliardi di persone che saranno in quel tempo, vivrà in aree urbane e la vita umana si condenserà in non più del 2% della superficie terrestre, mentre il 60% del Pil mondiale sarà prodotto, entro il 2025, da 600 città globali. Le città saranno dunque, sempre più un concentrato di persone, potere, conoscenza, creatività, innovazione, ricchezza e povertà.

A fronte di questo futuro, oggi i poteri veri ed autentici che condizionano la vita quotidiana delle persone, fluiscono nello spazio globale, mentre le istituzioni politiche rimangono ancorate ai luoghi. La ricchezza continua ad essere globale, mentre la povertà continua ad essere locale. Per farla breve, come scrive Bauman, le città sono diventate le discariche di problemi generati a livello globale. I cittadini ed i loro amministratori si trovano nella missione impossibile di trovare soluzioni locali a contraddizioni globali.

Come possiamo cambiare il presente alla luce del futuro? Partendo dalla consapevolezza che società, politica, economia, cultura e religione abiteranno nella città e questa sarà lo spazio se non unico, sicuramente principale in cui giocare la partita dell’umanizzazione. Per non perderci nella complessità, dobbiamo dotarci di una visione di città, di un nuovo paradigma culturale, antropologico e politico.

Punto di origine di questo paradigma è riconoscere l’ontologia della città come lo “stare insieme spontaneo”, caratterizzato, come scrive Ash Amin, dalla presenza di un gran numero di esseri umani e non umani, dall’imitazione e dall’apprendimento facilitati dalla prossimità, dalla concentrazione di molte forme di autorità, potere, abilità e competenze. Ciò significa avere consapevolezza che la città è sempre più una rete relazionale.

Una esplicitazione di questo paradigma la trovo nel pensare la città come comunità di comunità, concetto che ha in se il pensare la città come plurale, perché le diversità e le differenze sono una risorsa per la coltivazione dell’umanità di ogni uomo; libera, perché in essa si intersecano tante vie alla ricerca della verità; aperta, perché necessariamente fondate sul dialogo, che porta a scoprire l’altro; informale, perché la rigidità e l’utilitarismo rischiano di renderla disumana. La prospettiva è quella di elaborare e pensare un comune destino, cioè ridefinire una base condivisa di valori che possa tenere  insieme le comunità politiche con la promozione e la forza di condividere potenzialità ed opportunità dell’essere corpo sociale. Mi piace ricordare uno scritto sulla cittadinanza del 2010, di Bergoglio, allora cardinale di Buenos Aires, in cui suggeriva di pensare al  poliedro, immaginate un diamante, come modello di riferimento per rappresentare la città.

Il poliedro infatti, è l’unione di tutte le parzialità che nella unità mantiene l’originalità delle singole parzialità. Un cittadino che conservi la sua peculiarità personale, la sua idea personale, ma inserito in una comunità non si annulla più come in una sfera, bensì mantiene le diverse parti del poliedro. Abbiamo detto che pensiamo la città come una comunità di comunità e per certi versi un aggregato di aggregati. Questa è la mia immagine di città.

Ma questa idea di città ha bisogno di parole per essere detta. Una parola che interpreta e orienta la città futura è prossimità. È la parola-valore che ci permette di tornare a legare l’uomo all’altro, alla comunità, al territorio e al mondo; è la consapevolezza che l’uomo singolo, considerato in se stesso, non racchiude l’essenza dell’uomo in sé, che invece è contenuta soltanto nella comunione, nell’unità dell’uomo con l’uomo. Come ci suggerisce Levinas, l’esperienza della prossimità è la categoria centrale per la comprensione dell’umano, in quanto soppressione della distanza,  assunzione di responsabilità nei confronti dell’altro.

Prossimità è libertà, perché l’approssimarsi all’altro implica pure un differire, un lasciare spazio, in quanto l’essenza della prossimità è fare differenza, è molteplicità. Essere prossimi ma non impadronirsi dell’altro.

Prossimità implica l’aver cura dell’altro. Dato che ogni uomo è capace di riconoscere l’altro intravedendo in lui un essere che sceglie e decide, allora l’aspirazione alla vita buona va declinata attraverso la sollecitudine per l’altro e la richiesta di ottemperare ai doveri di reciprocità.

Prossimità è disponibilità verso l’altro, è ben volere l’altro nella sua autonomia, libertà, alterità, è attivare relazioni di fraternità, di comunità, di amicizia, di socialità veramente rinnovatrici e creatrici.

Prossimità è empatia, significa allargare l’esperienza individuale e renderla capace di accogliere il dolore, la gioia altrui, mantenendo la distinzione e la diversità con l’altro (Edith Stein).

Una cultura prossima è quella che lega il principio di giustizia alla nozione di care, cioè all’attenzione agli altri e al farsi carico delle situazioni ordinarie e una sensibilità ai dettagli della vita.

La politica prossima consiste nello scrivere un racconto comune ed assume un significato pienamente democratico soltanto se si lega ad una strategia di costruzione di una città giusta.

La politica prossima è la politica del superamento della distinzione classica della democrazia partecipativa e deliberativa, per una politica interattiva, ovvero della rappresentanza permanente basata sul fatto che c’è bisogno di un lavoro ininterrotto di generalizzazione del sociale.

Il lavoro da fare è quello di generare istituzioni che rendano possibile l’interazione tra società e potere, ma il punto di origine è renderci conto che una città per l’uomo oggi passa prima di tutto nel pensare un uomo per la città.

Giorgio Massari

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"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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