Pubblicato il 25 Gennaio 2020 | di Redazione
0Ripartiamo da Sturzo e dalla “Laudato si” e progettiamo insieme le città possibili
Credo che ognuno desideri la propria città perfetta, uno spazio dove si possano realizzare le migliori aspettative di vita. Tra il desiderio e la realtà purtroppo c’è solo il possibile che a volte, per una innumerevole serie di motivi, non coincide con il minimo indispensabile.
La città è adatta, se adeguatamente pensata e progettata, a creare con i propri spazi, con l’integrazione delle varie funzioni, le condizioni per favorire il benessere della comunità. Basti ripensare alla civiltà rinascimentale, dal punto di vista architettonico, per comprendere l’intreccio di contaminazioni e sovrapposizioni, tra l’orizzonte dell’idealità e la realizzazione praticabile. Oggi spesso siamo di fronte a degli habitat informi, privi di un ordine, non compatibili con il desiderio di qualità della vita. Ed è diventata un’ardua impresa governare una città, sia perché si è impreparati, sia per la carenza di risorse economiche, ma quasi sempre perché coloro che la vivono cercano solo qualcosa per se stessi. Laddove ognuno di noi ha precise e non delegabili responsabilità.
Ma allora cosa potrebbero e dovrebbero fare gli amministratori? Innanzitutto avere un progetto di città, di comunità che abbia un respiro lungo, non orientato alle prime rielezioni utili, ma solo al benessere di tutti i cittadini. Rimando a Sturzo per richiamare alcune delle virtù di cui dovrebbero essere dotati: onestà e sincerità, non promettere ciò che sanno di non poter esaudire, non sprecare denaro pubblico, rimuovere dagli incarichi dirigenti incapaci, non affidare incarichi a professionisti solo perché si tratta di amici e parenti… e «informarsi, studiare, discutere serenamente, obiettivamente, mai credere di essere infallibili» Sono ben diverse le visioni degli amministratori che adottano un piano regolatore frutto di “affari” con pochi privilegiati in cambio di appoggi elettorali, da quelle che programmano il recupero del centro storico con ricadute sul benessere di tanti. Inoltre se progettano di offrire risposte alle diverse marginalità sociali contribuiscono decisamente alla convivenza civile e risolvono problemi che indirettamente sono connessi a questi. Il cambio epocale che stiamo faticosamente attraversando chiede che siano ricalibrati gli interventi sulle povertà: i minori, le persone tra i cinquanta e i sessant’anni, e non più gli anziani che hanno reddito stabile da pensione. Andrebbero ritarati sulle categorie deboli, tra questi, anche i giovani.
Consideriamo anche cosa possono e devono fare i cittadini. Tantissimo! Innanzitutto non chiedere favori personali ma il rispetto dei propri diritti e quello dei loro concittadini. Aiutare, nelle varie forme, associate (ad esempio i comitati civici) ma anche spontanee e di scopo, l’amministrazione della propria città, di qualsiasi colore politico, nella soluzione dei problemi comuni. Mettersi a disposizione! Protestare civilmente, se occorre. Trattare la “casa comune” come fosse la propria. Informarsi, documentarsi prima di inveire! Prendersi cura degli spazi comuni, simboli del vivere civile. Molto sinteticamente: contribuire alla qualità della politica, essenza del bene comune, che è il modo in cui una comunità vive, e vive bene. Scrive E. De Luca: “Chi sta solo è meno di uno”.
Gli elenchi potrebbero dilungarsi, ma ci dicono le statistiche che il lettore medio legge, forse, le prime sette righe di un articolo, poi passa ad altro. Quindi concludo con un consiglio (a tutti, credenti e non): leggere e studiare la “Laudato sii”, dove c’è tanto da attingere!
Renato Meli
direttore ufficio problemi sociali e lavoro