Società

Pubblicato il 4 Febbraio 2020 | di Mario Cascone

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Fragilità congenita dell’essere umano ma saperla accettare non è semplice

La vita dell’uomo si conduce tra alti e bassi, cadute e rialzamenti. Essa è segnata in modo costitutivo dalla fragilità, pur essendo dotata di un altissimo valore e di un destino eterno. Desiderio d’infinito e finitezza della condizione esistenziale sussistono nella storia di ogni persona. Non conosciamo persone perfettamente sane, ossia del tutto prive di limitazioni e malattie. Ma non esistono nemmeno persone del tutto malate, che debbano sentirsi inutili e destinate solo al disfacimento. Salute e malattia, fortezza e fragilità coesistono nel tracciato storico di ogni uomo e non possono essere trattate come due condizioni separate, né facilmente distinguibili.

È in questo intreccio di forza e debolezza che veniamo a contatto col mistero dell’essere umano, contemplando in lui la traccia dell’origine divina, che ne fa un unicum irripetibile, posto nell’universo non certo per caso, ma per conseguire la piena felicità e per dare il suo contributo alla costruzione del bene comune.

Il dolore e la fragilità fanno misteriosamente parte di questa costruzione. L’uomo partecipa all’edificazione di un mondo più giusto attraverso la fatica del suo quotidiano esistere e il sapore amaro della sofferenza, che lo spinge continuamente ad anelare la salute, la guarigione, la salvezza definitiva. Il senso del limite, che la malattia e la debolezza creaturale denunciano, diventa stimolo al suo superamento mediante la forza della speranza, che è sempre presente nel cuore di ogni uomo e che va alimentata quale autentica forza terapeutica, capace di curare anche i mali ritenuti inguaribili. Non vale infatti solo il detto “finché c’è vita, c’è speranza”, ma anche il suo contrario: “finché c’è speranza, c’è vita”. Alimentare la speranza, aiutando l’uomo a trovare un senso al suo dolore, è certamente uno dei compiti principali che tutti noi abbiamo di fronte.

Scrive a tal proposito Giovanni Paolo II: “Il dolore, specie quello fisico, è ampiamente diffuso nel mondo degli animali. Però solo l’uomo, soffrendo, sa di soffrire e se ne chiede il perché; e soffre in modo umanamente ancor più profondo, se non trova soddisfacente risposta”.

Medicina, psicologia, antropologia, ma anche filosofia e teologia sono chiamate ad offrire una risposta congiunta al perché della sofferenza umana, ma soprattutto al come essa possa essere vissuta dalla persona in una maniera degna della propria natura. In ogni caso è inutile pretendere di spiegare il dolore e la fragilità congenita dell’essere umano. I vari tentativi di spiegazione, infatti, non solo risultano inutili, ma molte volte danno fastidio a chi sta soffrendo o sta sperimentando il peso dei suoi limiti. L’unica cosa che giova veramente è stare vicino a chi soffre, fargli sentire la forza della nostra compassione e camminare insieme con lui nella strada di una realizzazione esistenziale, che non può prescindere dall’accettazione delle proprie fragilità, senza pretendere di dare loro sempre un senso o una motivazione.


Autore

Sacerdote dal 1981, attualmente Parroco della Chiesa S. Cuore di Gesù a Vittoria, docente di Teologia Morale allo studio Teologico "San Paolo" di Catania e all'Istituto Teologico Ibleo "S. Giovanni Battista" di Ragusa, autore di numerose pubblicazioni e direttore responsabile di "insieme".



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